Politica

Ci sono due Renzi

10 Aprile 2013

Matteo RenziQuando si parla di Matteo Renzi (cosa che accade spesso e, credo, accadrà anche nei prossimi mesi) a me pare che sfugga sempre un particolare utile a capire meglio: esistono due Matteo Renzi. Che naturalmente hanno forti punti di contatto, ma anche significative differenze.

Il primo è il Renzi che definiremo “contenitore” (per distinguerlo dal contenuto). Matteo Renzi è un evidente fenomeno dal punto di vista della comunicazione. Uno come lui nasce ogni 20 anni, forse di più. La sua capacità di parlare a pubblici molto diversi e di farsi capire, o quanto meno di suscitare emozioni, è sbalorditiva. Tanto è vero che giravano e girano tuttora sondaggi secondo i quali un Pd a guida Renzi sarebbe al 40%, oppure solo al 36%, o secondo cui Renzi sarebbe il leader che gode della maggiore fiducia, eccetera. Con tutta la diffidenza nei confronti dei sondaggi, io credo che ognuno di noi conosca molte persone che, pur non essendo elettori del Pd e spesso nemmeno troppo appassionate di politica, confermino questo dato: “Io Renzi lo voterei”.

Poi c’è il Renzi “contenuto”. Che cosa promette, il sindaco di Firenze, qualora eletto? Se guardiamo i “12 punti” delle primarie ci troviamo un mix di cose per lo più sensate e condivise: riforma della politica (diminuizione dei parlamentari, abolizione del Senato: esiste qualcuno contrario?), forte legame con l’Europa, meno grandi opere e più piccole opere (asili nido), cultura (1% del Pil), tutela del territorio (urbanistica a volumi zero), eccetera. E qualche punto più controverso: riduzione del debito attraverso forti dismissioni e soprattutto la famigerata (si fa per dire) “flexsecurity”, ovvero più flessibilità sul lavoro e più tutele alla persona (modello scandinavo barra Ichino). Qui, alla sinistra della sinistra prudono le mani al solo sentirne parlare.

Torniamo allora al primo Renzi. La sua capacità di pescare in giacimenti elettorali non tradizionali è una risorsa impagabile, specie se andiamo con la memoria alla storia elettorale della sinistra nella seconda repubblica: sconfitta clamorosa nel 1994 (la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, che si aspettava di stravincere, inaugurando una meno gioiosa tradizione di grandi delusioni); vittoria nel ’96 (macchiata però dalla congiura che portò alla sostituzione di Prodi con D’Alema, ancora oggi incomprensibile per molti elettori); logica, conseguente sconfitta nel 2001; vittoria di strettissima misura (toh: avevano sottovalutato la rimonta di Berlusconi!) nel 2006, con lo spettacolo indecoroso di una coalizione formata da 14 partiti e di un governo i cui ministri manifestavano contro il governo; logica, conseguente sconfitta rovinosa nel 2008.

E siamo a oggi: una via di mezzo fra il ’94 e il 2006, la non-vittoria. È a questo che il centrosinistra vuole condannarsi a vita, come nel film “Ricomincio da capo”? Se no, se per una volta prevalesse la logica, anche egoistica, allora persino Bersani dovrebbe battersi perché Renzi (il primo) sia il candidato. Così si potrebbe provare – intanto – a vincere le elezioni con i voti, non con le alleanze sballate. Poi, certo, ci sarebbe da negoziare con Renzi (il secondo), e magari accettare che a questo giro ci sia un po’ più di flessibilità e un po’ meno accondiscendenza nei confronti della Cgil. Ma, mi sembra, sarebbe sempre meglio che negoziare con Berlusconi (che ti frega sempre, a ogni giro) o con Grillo (che manda due poveretti palesemente inadeguati, i quali neppure ti ascoltano).

La teoria dei due Renzi, non so se si capisce, rappresenta il mio modestissimo contributo all’individuazione del prossimo candidato del centrosinistra. Perché anche se persino i più cocciuti questa volta dovrebbero aver capito che il primo requisito per poter governare è vincere le elezioni, basta farsi un giro in Rete per leggere tutt’altro: c’è chi vorrebbe Civati, chi Barca, chi Puppato, chi rivorrebbe Bersani, chi sogna il candidato che non esiste. Tutte persone degnissime, s’intende. Nessuna delle quali, però, possiede l’unico requisito che serve: la capacità dirompente di Renzi (il primo) di parlare a chi l’ultima volta non ti ha votato.