It’s hard to be a fan in the city

9 Giugno 2014

“It’s hard to be a saint in the city”, cantava il Boss nel suo album d’esordio. Ancora più duro, mi permetto di dire sperando che Bruce non se la prenda, è essere un tifoso milanista di questi tempi. Ma non perché da un po’ di anni non vinciamo. No. Perché non si capisce più a che gioco giochiamo.

bruce

 

La società

Diciamoci la verità: tifare per una squadra posseduta e presieduta da Silvio Berlusconi non è mai stato facile. È vero, ha avuto intuizioni felici (Sacchi, Capello) e ci ha fatto vincere molto. Ma ha avuto torto su molte cose, ha trascurato a lungo la squadra, si è assunto il merito delle vittorie ma mai il demerito delle sconfitte (anzi, è campione di scaricabarile). Soprattutto, è un bugiardo sistematico e patologico. E, come ho già provato a spiegare, mentire nel calcio è rischioso: il tifo, per il tifoso, non porta vantaggi pratici, è faticoso, costoso, spesso frustrante. Il tifoso, anche quello della squadra mediamente vincente, è uno che in termini di mix fra speranze e risultati sa bene di avere perso in partenza (fanno forse eccezione i tifosi di quelle squadre che vincono sempre il loro campionato nazionale, tipo i Rangers o l’ultima Juve, ma tanto poi lì ci pensano le coppe europee a fare giustizia). Per questo (scusate la lunga premessa) fra tifosi della stessa squadra non bisognerebbe imbrogliarsi a vicenda. E invece Berlusconi è sempre pronto a mentire. Se per caso il cassiere della società si sta chiedendo come si sia passati dai 41.606 mila abbonati della stagione 2008/2009 ai 25.984 della successiva, poi scesi fino a 23mila, la spiegazione glie la posso fornire io: non tanto, o non solo, la cessione di Kakà al Real Madrid, ma la sequenza di menzogne che hanno preceduto e accompagnato una decisione che – giusta o no – andava gestita con trasparenza, sulla base di quella logica di cui sopra: il tifoso è un fedele, non può e non deve essere fregato. E invece: prima la quasi-vendita in inverno, poi la resa dei conti (è il caso di dire: 67 milioni) estiva, inframmezzata da patetiche rivendicazioni (elettorali) di “provare a trattenere” il giocatore, quando in realtà le decisioni erano state prese da tempo, come ci aveva ampiamente anticipato il Puma Emerson, nostro inviato a Milanello (questa ve la eravate dimenticata, eh?).

emerson

Alla litania di balle di vario tipo si è aggiunta nel 2014 una nuova fattispecie: la bega successoria di stampo nord-coreano. Chi comanda? Silvio? Barbara? Galliani si dimette? No, al contrario, torna in sella. E come mai? Due amministratori delegati? Benissimo. Ma poi comanda sempre Silvio? Rifondazione? Svendita dei giocatori? O della società stessa? Alla fine non si è capito niente, se non che il Milan ha una nuova sede (e chissenefrega); l’opacità sovietica impera e – caso mai – aumenta.

L’allenatore

Qualora all’indomani della surreale sconfitta contro il Sassuolo aveste chiesto a me, a un qualunque tifoso del Milan o anche a un marziano che cosa andasse fatto, vi sarebbe stato risposto: squadra a Inzaghi, domani. Di Filippo Inzaghi pensano tutti bene: da calciatore, pur venendo dalla Juve, ha associato il suo nome a grandi vittorie (specie la Champions del 2007); da allenatore si è fatto benvolere allenando prima gli Allievi Nazionali e poi la Primavera, con cui ha vinto la Coppa Carnevale, meglio nota come Torneo di Viareggio; è preparato, meticoloso, studia gli avversari, fa gruppo. Era ovvio, insomma, che in emergenza l’unico nome possibile fosse quello di Inzaghi, cui associare, almeno nelle speranze, l’avvio di un nuovo ciclo che partisse – come si sbandiera invano da anni – dai giovani del vivaio.

inzaghi

E invece no. Berlusconi, apparentemente contro il parere di tutti, impone Clarence Seedorf, che se ne stava in Brasile a completare una lunghissima e gloriosa carriera da giocatore, e gli fa firmare un lussuoso (specie per un allenatore senza alcuna esperienza) contratto da due anni e mezzo del valore di 2,5 milioni all’anno, totale una dozzina di milioni al lordo di tasse e contributi.

Poi, per ragioni mai spiegate né dalla società (secondo il già citato stile sovietico) né dalla stampa sportiva impaurita e omertosa anche quando si finge libera (ci torniamo sopra), l’amore si interrompe malgrado risultati decorosi: e oggi viene annunciato (ma si sapeva da un pezzo) che nella prossima stagione Seedorf sarà sostituito da Inzaghi. Risultato: sei mesi di lavoro e soprattutto almeno 10 milioni di euro buttati (Seedorf sembra pretendere il rispetto del contratto, stranamente!), che avrebbero fatto comodo per un mercato che si annuncia a dir poco parsimonioso. E, quasi peggio, il rapporto con un giocatore-simbolo macchiato probabilmente per sempre, ennesima gaffe dopo le separazioni a dir poco imbarazzate da Leonardo, Maldini, Ambrosini. Inzaghi, insomma, sarà l’allenatore, esattamente come suggerivo io – che non conto nulla – sei mesi fa: ma al modico costo di una catastrofe economica e simbolica. Grande.

La squadra

Intanto si delineano le prime mosse di mercato. Al momento risulta che abbiamo messo sotto contratto Alex, stagionato (32) ma forte difensore centrale brasiliano; atteso in settimana anche Jeremy Menez, talentuoso ma incostante fantasista francese, anch’egli proveniente a parametro zero dal Psg (scarti di lusso, diciamo, senza sarcasmo). Quanto al resto, le voci che si sentono sono le seguenti: Nigel De Jong, di gran lunga il migliore della squadra nella stagione conclusa, ufficialmente “chiede chiarezza sui programmi” che tradotto pare voler dire che, essendo legato a Seedorf, è disgustato e se ne vuole andare; Adil Rami, uno dei più positivi, non è stato riscattato per la cifra pattuita e si cerca di prenderlo a meno (che gran signori!); lo stesso per Adel Taraabt, preso in prestito con diritto di riscatto a gennaio, non riscattato dopo un ottimo girone di ritorno e chissà; Balotelli si spera che faccia un gran Mondiale così possiamo venderlo a buon prezzo; Mattia De Sciglio, uno che è arrivato al Milan a 14 anni e a 21 gioca stabilmente in Nazionale, viene accostato di continuo al Real Madrid; su Bryan Cristante, prodotto del vivaio, classe ’95, ci sono ripetute avances del Benfica, che offre la bellezza di 3, forse 4 milioni per quello che tutti indicano come uno dei migliori centrocampisti europei della sua generazione; Kakà forse torna al San Paolo (a causa di non meglio precisati “problemi familiari”: no, eh? Sapete che io al 22 voglio bene come a un parente: se ha un problema a casa, ne parliamo, non si scherza), ma forse va a giocare negli Usa, a Orlando. Insomma, il ritratto di una squadra in disarmo e che, soprattutto, potrebbe cedere i suoi migliori talenti giovani. Tutto all’insegna del “servono soldi cash per fare mercato”. Ma non si rischia di vendere uno bravo per comprare uno magari meno bravo? Magari sono tutte bufale, ma l’esperienza insegna che quando ci sono tante voci in giro, qualcosa di vero c’è. Potremmo chiedere a Emerson, se qualcuno avesse il numero di telefono.

kakàpioggia

La stampa (di regime) (come si suol dire) (ma stavolta è vero)

Magari non c’entra niente, ma leggere nel giro di pochi giorni due farneticazioni (chiamarle editoriali mi pare francamente eccessivo) inginocchiate come quelle di Carlo Pellegatti (che ho amato tanti anni fa, quanto inventava soprannomi come “Cuore di Drago” per Maldini e “L’Immensità che Diventa Regola” per Baresi) e Mauro Suma (che non ho mai sopportato, nemmeno quando ci hanno tolto ingiustamente 30 punti e avrei dovuto sentirlo quantomeno vicino nella sventura) mi ha reso ancora più malinconico. “Silvio Berlusconi non era mai andato via, è lui il fuoriclasse”, titola sobriamente Pellegatti il 5 giugno. E, due giorni dopo, Suma gli risponde con pari rigore anglosassone: “Contestazione? No, i tifosi inneggiano a Silvio”. Ma come, diranno gli amici (specie interisti)? Non lo sapevi che erano due… ehm (ci siamo capiti) professionisti e pure appassionati? Certo. Lo sapevo. Ma le loro recenti fatiche letterarie, forse non casuali, mi hanno confermato nella mia idea di un regime morente, che avendo finito le armi si affida pateticamente a modestissimi cantori a libro paga, e quindi nella convinzione che la situazione è davvero grave.

Purtroppo, poi, la stampa “indipendente” è quasi più pavida di quella aziendale e si aggrappa a formule vuote e usurate ma, evidentemente, approvate dal ministero delle Balle. Sentite come la Gazzetta dello Sport commenta – il 9 giugno – l’esonero di Seedorf, che per quanto annunciato segna la fine di una vicenda assurda e clamorosa, e pertanto meriterebbe ben altre esegesi: “Clarence ha pagato i risultati deludenti, la mancata qualificazione in Europa e la gestione discutibile dello spogliatoio”. Sorry? Proviamo a capire: dei 57 punti totali del Milan, 22 li ha conquistati Allegri e 35 Seedorf, nello stesso numero di giornate. Non sarà un record, ma certo se il Milan non si è qualificato per le coppe europee non è tutta colpa sua. Resta allora la questione dello spogliatoio: cioè? Che cosa è successo? Qualcuno sa qualcosa? Se i giornalisti non sanno niente, allora anche la formuletta “gestione discutibile” è di troppo; se invece sanno, non sarebbe loro compito raccontarcelo?

Morale della favola

Il bello della vita del tifoso, tuttavia, è che sognare non è mai vietato. E allora io provo a dire come vorrei che fosse il Milan della prossima stagione, non certo per vincere la Champions (sono realista) ma per fare qualche figuraccia in meno.

In difesa, mi pare che Rami (speriamo) e Alex siano una buona coppia centrale. Le riserve non sono esaltanti, speriamo in bene. Ma soprattutto: non vendete De Sciglio, se non volete un’altra rivolta dei tifosi: è forse l’ultimo simbolo che ci resta. Chiaro? Serve che lo ripeta? Abate è pur sempre un nazionale e un prodotto del vivaio. Serve almeno un altro esterno forte: Santon non sarebbe male e come rincalzo sarei curioso – in assenza di meglio – di vedere Tamas, il terzino ungherese della Primavera.

desciglio

A centrocampo spero che De Jong resti: nel suo ruolo di interditore per me resta uno dei migliori al mondo. Bene la conferma di Poli, ma mi piacerebbe tanto veder giocare Cristante (da non cedere, quindi, al Benfica né a nessun altro), almeno fintanto che Montolivo non rientra dall’infortunio. Un altro centrocampista molto interessante della nostra Primavera è Mario Piccinocchi, un piccoletto di grande geometria e buon tocco di palla (nel derby di andata, vinto 2-0 in casa dell’Inter, i tifosi interisti lo applaudivano a scena aperta, tanto era tatticamente superiore a tutti gli altri 21 in campo). Il problema, casomai, è che il Milan non ha tirato fuori grandi giocatori dalle annate dal ’90 al ’94 (a parte De Sciglio) e quindi ora deve aspettare i ’95 e successivi (si dice gran bene dei ’97 e ’98: speriamo).

In attacco, azzardo: via Pazzini (pur bravissimo e generoso) e Matri, se dobbiamo fare cassa: teniamoci Balotelli (se non diventa un vero centravanti sotto la guida di Inzaghi non lo diventa più) e portiamo a casa Paloschi (classe 89, in comproprietà col Chievo) come punte centrali. Petagna in prestito secco per un anno, a fare a mazzate in qualche squadra da battaglia. Sui lati, El Shaarawi è come De Sciglio: la gente lo ama e vuole vederlo giocare. Bene Menez, ma io spero che venga confermato anche Taraabt. Saponara in prestito anche lui – a meno che parta qualcun altro – e Honda arrivederci e grazie, venderemo meno magliette in Giappone. Infine, Kakàspero che rimanga almeno un altro anno (e faccia pace con la moglie). Non sarà più quello di una volta, ma si adatterebbe con intelligenza a qualunque modulo, secondo me potrebbe benissimo fare la mezzala. E poi si è ampiamente dimostrato che una squadra privata di tutti i suoi punti di riferimento tecnici e simbolici non va da nessuna parte. Neanche con due allenatori a libro paga, due amministratori delegati, una nuova sede e tanti giornalisti ruffiani.