Milan

Gattuso è un allenatore vero

1 Settembre 2018

Che Gennaro Gattuso non sia un allenatore adatto al Milan – lo sappiamo – lo pensano in molti.

Tanta gavetta, certo: Palermo, Ofi Creta, Pisa. Ma forse troppa gavetta, e solo quella: Palermo (esonero alla sesta giornata), Ofi Creta (dimissioni dopo sei mesi, a causa di gravi problemi societari), Pisa (promozione in B ma anche retrocessione in Lega Pro).

Poi, nell’estate del 2017, il colpo di scena: l’allora dirigenza (rappresentata da Marco Fassone e Massimiliano Mirabelli, realisticamente il vero autore della trovata) ingaggia Gattuso come allenatore della Primavera del Milan. È tutto preparato? Cioè la panchina della Primavera è in realtà una panchina da cui togliersi la pettorina e balzare su San Siro se le cose non andranno bene con Montella? Non lo sappiamo (un giorno qualcuno lo chiederà a Mirabelli): ma se è così la mossa è davvero geniale, perché il Milan si trova in casa un allenatore che – con pregi e difetti – conosce bene l’ambiente, è un combattente, un gran lavoratore. E fa il terzo miglior girone di ritorno del campionato.

Ma è un vero allenatore?

Con un curriculum così, abbastanza accidentato, è inevitabile che fin qui Gattuso abbia dovuto convivere con una vulgata secondo cui va bene tutto, vanno bene le imprese e le vittorie da calciatore, la grinta, la simpatia, ma un allenatore da grande club è un’altra cosa: cosa, esattamente, non lo sa nessuno. Però è qualcosa che assomiglia molto a Conte.

Conte, appunto. Il vero avvoltoio sulla spalla di Gattuso si chiama Antonio Conte. Non per colpa sua, sia chiaro. Senza che Conte abbia mai proferito mezza parola sull’argomento, egli è per qualche motivo nella mente di molti (anche semplici tifosi, oltre ai giornalisti a caccia di spunti di dibattito, diciamo così) il “vero” allenatore del Milan. I motivi si possono intuire: Conte ha fatto una lunga gavetta; ha vinto subito, alla Juve; ha rivinto al Chelsea; è un duro, e negli ultimi anni il Milan ha dato l’impressione di non essere propriamente un manipolo di spartani: di allenatori “morbidi” che dopo una sconfitta dicono “i ragazzi hanno fatto tutto quello che potevano” non ne possiamo più, vogliamo gente che dia mostra di provare almeno un decimo di quella furia che proviamo noi. Last, but non least, Conte è disoccupato proprio nei giorni in cui si sta facendo il nuovo Milan di Elliott, quello leonardiano, bello e vincente (delle vicende societarie parliamo un’altra volta).

E la juventinità di Conte? Non è un grande problema: perché a mali estremi, estremi rimedi; e poi perché in fondo i milanisti odiano la Juve ma le riconoscono almeno una qualità manageriale superiore. E poi (calcisticamente, s’intende: a Milano si va al derby tutti insieme e non succede niente, al massimo si canta “Quindici maggio / duemilauno / e quella data non la scorda più nessuno…”) odiamo più l’Inter della Juve. Tanto che secondo me non riusciamo nemmeno a odiare Leonardo Bonucci: semplicemente, lo abbiamo rimosso. Un giorno ci siamo svegliati e Bonucci non era mai esistito, e alla domanda “capitano del Milan?” rispondiamo “Franco Baresi” (alcuni, quorum ego) o “Paolo Maldini” (i più). Col tempo impareremo a dire “Alessio Romagnoli”, che comunque è un po’ strano. Fine.

Ma dicevamo di Conte e di Gattuso.

Mi avete fatto il funerale per quaranta giorni“, ha detto a sorpresa Rino nella conferenza stampa pre-Napoli, non esattamente una confidenza sussurrata a un amico intimo. Insomma, anche lui (soprattutto lui) sa benissimo che per le ragioni sommariamente indicate sopra, per molti il “vero” Gattuso sarebbe Conte: specie per la categoria dei pragmatici per i quali l’appartenenza conta meno del risultato. Gattuso sa che al primo pareggio in casa con una squadra di medio-bassa classifica il mio vicino di posto allo stadio urlerà “con questo qui non andiamo da nessuna parte”. Amen.

E invece Gattuso.

E invece Gattuso una cosa, ieri, 31 agosto 2018, ce l’ha fatta sapere: lui è un allenatore. Non è una vecchia gloria catapultata su una panchina troppo importante. Non è un James Bond giramondo come Leonardo che a un certo punto ha fatto anche l’allenatore per divertimento, ma è chiaramente troppo elegante e talentuoso per starsene sotto la pioggia a sacramentare, quando potrebbe stare sul jet privato di Paul Singer. gattuso

Perché:

  • Gattuso ha un’idea di gioco precisa, che prevede una costruzione dell’azione lenta, paziente, partendo dal basso, con il coinvolgimento di tutti i giocatori incluso il portiere, magari passando la palla indietro se non si può passarla avanti, ma non buttandola avanti. Con questa idea ha segnato due gol a casa del Napoli (secondo classificato l’anno scorso) dominando il campo per 50 minuti, prima che le cose impazzissero;
  • Gattuso ha un’idea di gioco precisa (sì, lo so, sembra il punto precedente, ma non lo è) e quindi non la cambia perché a un certo punto le cose sono precipitate: ieri – malgrado i rumours della vigilia indicassero Abate e Caldara come titolari (Abate, capite?, come arma decisiva: dove arriva la presunzione umana…) – ha riproposto esattamente la stessa formazione vista contro il Napoli, con la sola eccezione di Calhanoglu (che rientrava dalla squalifica) al posto di Borini. E ai suoi undici ha detto di fare esattamente quello che avevano fatto contro il Napoli: “venire su” palleggiando. E ha dominato la Roma (terza classificata l’anno scorso) per un tempo.
  • Cioè, in pratica, ha ignorato l’enorme pressione mediatica che si stava distendendo, nera e graveolente come un manto di asfalto caldo, specie alla vigilia della (odiosa) sosta per le Nazionali che, in caso di esito negativo, l’avrebbe costretto a convivere per due settimane (16 maledetti giorni fino a Cagliari-Milan, per la precisione) con le eventuali critiche, l’inadeguatezza, Conte, Mirabelli, eccetera. Tra le sue idee e il rumore di fondo, ha scelto le sue idee. Qualcuno si ricorda le 23 formazioni in 23 gare ufficiali del ben più blasonato Montella?
  • Ma c’è di più: fra la prima e la seconda partita di questo campionato Gattuso ha anche trovato il tempo per imparare. Innanzitutto – lo aveva detto in conferenza stampa – ha di fatto autorizzato i suoi a buttare la palla in tribuna. Se capitano i dieci minuti di sbandamento, ha detto, fate il contrario di quello che io, per ruolo, sono tenuto a dirvi e vi dirò: calciate la palla lontana. Un ragionamento di una finezza pedagogica di livello superiore, da padre che dice a suo figlio “torna presto” ma in realtà mette in conto che torni tardi, faccia casino, accompagni a casa la ragazza, sia felice.
  • Inoltre questa volta Rino ha azzeccato i cambi che – per sua precisa ammissione – aveva sbagliato contro il Napoli. “When in trouble go big”: perché i dieci minuti (e forse più) di sbandamento sono puntualmente arrivati e la Roma, più tecnica e forte fisicamente anche se ancora non bene organizzata, avrebbe potuto farci molto male. Ma se sull’uno pari l’allenatore inserisce tre giocatori mediamente più offensivi dei tre sostituiti, sta dicendo chiaramente “preferisco vincerla che non perderla”. Gli schemi sono saltati, adesso fuori le palle.
  • Per questo la vittoria di ieri contro la Roma è una vittoria figlia di due atteggiamenti diversi: un primo tempo razionale, tutto palleggio, costruzione, ingegneria, “fate quel che vi dico”. E un secondo tempo di reazione a uno scompaginamento (fisico? Psicologico? Lo capiremo), di coraggio anche se non di incoscienza. Un capolavoro di comunicazione: cari sessantamila e ventidue che siete qui a San Siro, io metto dentro un terzino d’assalto, un esterno d’attacco e una prima punta, poi fate voi.

Insomma. Se Davide Calabria non avesse recuperato la palla in uscita al 94esimo, se non l’avesse data a Gonzalo Higuain, se questi non avesse detto “fermi tutti, plebei, il re sta pensando” (sì, perché per qualche strana ragione pare che il tempo si fermi e che a Higuain venga lasciato un attimo decisivo, in ragione del suo superiore carisma), se Patrick Cutrone non avesse fatto quel che sa fare meglio, cioè trovare la porta (gustatevi il gesto che fa con la mano prima di tagliare dentro: “Gonzalo, vado”), oggi saremmo (sareste) tutti un po’ meno gattusiani e un po’ più contiani. Ma sbaglieremmo: Gattuso è un allenatore vero.

E poi (e non è poco) è uno di noi.