Il solito pezzo sul calciomercato

I dolori (ma anche le gioie) del giovane Milan

14 Ottobre 2020

Lorenzo Colombo MilanDiciamolo subito: la prima reazione alla campagna acquisti del Milan è di incompiutezza. Eravamo partiti bene, ma ritrovarci a sperare fino agli ultimi minuti in un difensore centrale, quale che fosse, e apprendere nei penultimi minuti che Bakayoko sarebbe andato al Napoli in prestito secco (non potevamo farlo anche noi, invece di disquisire di diritto o obbligo di riscatto per due mesi?) lascia un po’ l’amaro in bocca.

Non a caso, i giudizi sul lavoro di Maldini e Massara sono stati molto disomogenei: c’è chi l’ha giudicato ottimo e chi disastroso. E anche facendo la tara e scremando da un lato i giornalisti ruffiani (che fai, ti metti contro il Milan e contro il nome Maldini, per di più in un momento in cui le cose girano benino? Caso mai aspetti che vadano male) e i tifosi mai contenti, non è facile arrivare a una conclusione univoca. Ma andiamo con ordine.

La difesa, il luogo dei “ma

La difesa è stata il luogo non solo della grande delusione, ma anche delle grandi contraddizioni. Cercavamo un difensore centrale, ma ne abbiamo cinque. Certo, Romagnoli era infortunato (ma adesso è rientrato), Duarte ha il Covid (ma chi ha fatto in tempo a capire quanto vale veramente?), Gabbia è giovane, ma sta maturando (ma nel frattempo ha preso il Covid), Musacchio è infortunato da tempo immemorabile, ma potrebbe rientrare (ma solo a fine ottobre). Morale della favola, se sabato prossimo il derby si giocherà ci presenteremo con due difensori centrali: il sempiterno Kjaer e il rientrante capitan Romagnoli. Avremmo dovuto comprarne un altro? E – nel caso – un vecchio leone alla Rudiger o alla Pezzella, o un giovane emergente alla Fofana, alla Kabak o addirittura alla Simakan (alzi la mano chi l’aveva mai sentito), o un giovane ma già esperto come Milenkovic o la sua versione giapponese (un tempo, quando gli imitatori seriali di cose occidentali erano i giapponesi, avremmo detto la sua copia a buon mercato) Tomiyasu? Pare che il Milan, tra l’altro, i soldi li avesse, ma che abbia deciso di non superare le valutazioni fatte per ognuno di questi giocatori: non sarebbe un cattivo principio da imporre sul mercato (salvo rinnovi, ma quello è un capitolo doloroso che qui non tratteremo). Vedremo: con un po’ di fortuna potremmo arrivare con tre/quattro centrali a gennaio e poi capire se qualcosa si muove, specie fra i giocatori che si avvicinano alla scadenza del contratto e che quindi diventano un po’ più avvicinabili.

Le contraddizioni, del resto, proseguono sulle fasce. A destra abbiamo quattro giocatori: Calabria (mal sopportato in passato ma ora apprentemente rigenerato), Conti (scomparso dai radar, infortunato, a lungo dato in uscita ma non uscito, ma ora pare rientrante, ma non ancora convocabile), la scommessa Kalulu (un classe 2000 dal gran fisico e dalle movenze feline, la cui partenza ha causato una rivolta al Lione dove era visto come la next big thing) e Diogo Dalot, talento portoghese voluto da Mourinho al Manchester, dove però non ha sfondato. Quest’ultimo, c’è da giurarci, è il pallino di Maldini. Per essere un terzino, Dalot è alto e potente (1,83 per 78 chili), quasi una copia di Theo Hernandez (1,85 per 81 chili) con cui Maldini (che quando giocava, guarda caso, era 1,86 per 85 chili) sogna di formare una coppia di terzini d’assalto giovani, grossi e veloci: cioè – lo avrete capito – a sua immagine e somiglianza. È un progetto ambizioso e romantico: riuscirà Paolo nell’accoppiata? È tutto da capire: Dalot per ora è in prestito secco per un anno, ma io credo che il Milan proverà in corso d’anno a negoziare un diritto di riscatto. In compenso a sinistra abbiamo il sopra citato Hernandez (capriccioso, ma a tratti incontenibile) e basta: Diego Laxalt è stato ceduto in prestito secco al Celtic, cosicché non lo abbiamo né venduto, né sostituito. Scommetto che quando Theo avrà bisogno di tirare il fiato vedremo Diogo Dalot impiegato a sinistra, ma in un mondo in cui gli esterni d’attacco giocano prevalentemente a piede invertito, almeno i terzini dovrebbero giocare sulla fascia “naturale”. Non escludo, però, che i nostri scout guidati da Geoffrey Moncada stiano studiando qualche esterno sinistro classe 2000 o giù di lì, per dare (a gennaio?) a Theo un sostituto vero. Morale: difesa non equilibratissima ma gestibile. Possibili aggiustamenti – anche in uscita – a gennaio.

Il centrocampo, il gioco delle coppie

A centrocampo abbiamo realizzato il colpo migliore. Avendo parlato di Sandro Tonali quando nessuno ne parlava e chi ne parlava lo faceva con accesi toni nerazzurri (scusate l’espressione scurrile), non posso che dirmi soddisfatto. Con Bakayoko avremmo fatto un capolavoro: quattro centrocampisti pressoché intercambiabili, due molto fisici e due più tecnici. Invece Bakayoko non è arrivato ed è rimasto Rade Krunic che pur essendo arrivato un anno fa resta un oggetto un po’ misterioso, a differenza del suo ex-collega-rivelazione Bennacer: non si capisce se è un giocatore più di copertura o di costruzione, se è un interno o una mezzala o addirittura un “falso trequartista” (potremmo coniare la definizione di falso diez? Forse è troppo); è alto ma non altissimo, non sembra possedere la fisicità – appunto – di un Bakayoko. Secondo me lo vedremo entrare quando Pioli vorrà abbassare il baricentro per coprirsi, più al posto di un esterno offensivo che di un mediano. Personalmente, con tutta la simpatia, avrei cercato di cederlo per portare a casa un giocatore più specializzato, o semplicemente più forte, o più semplicemente Bakayoko. Ma magari Rade mi smentirà. È invece partito – in prestito secco – Tommaso Pobega, classe 1999, gioiello della Primavera del Milan, l’anno scorso al Pordenone in B con ottimi risultati. Un po’ mi spiace (lo seguo dai tempi della Primavera), ma un anno allo Spezia, a fare a mazzate ogni domenica per salvarsi, gli farà bene. Così come farà bene un anno in B all’Entella al suo gemello (sono fisicamente identici, due giganti biondi di 1,88 che giocano praticamente nello stesso ruolo) Marco Brescianini, più giovane di un anno. Spero che possano tornare entrambi fra uno o due anni, per rimanere a lungo. Morale: bene, è mancata la ciliegina.

La trequarti: il 10 e dintorni

Il Milan di Pioli gioca con il 4-2-3-1 e quindi con tre trequartisti (non è uno scioglilingua): uno centrale, che è il vero regista offensivo della squadra, e due esterni. Finalmente, dopo anni di equivoci tecnici e tattici, abbiamo scoperto proprio grazie a Pioli che Hakan Calhanoglu è un trequartista centrale. Pensate se lo avesse capito Marco Giampaolo, invece di sprecare un’intera preparazione estiva scommettendo su Suso: la storia sarebbe andata probabilmente in modo diverso (magari peggio).

Vabbè. Ai suoi lati (suoi di Calhanoglu, non di Giampaolo) abbiamo situazioni molto diverse.

A sinistra il titolare sembra essere Ante Rebic, roccioso attaccante di piede destro che quindi tende naturalmente a convergere verso l’area “a piede invertito”, come oggi si usa dire. In quel ruolo può giocare – a tratti molto bene – anche Rafa Leao, portoghese classe ’99 alto ed elegante che ha tutti i pregi possibili, tranne forse quello della caparbietà: a tratti sembra vagare svogliato per il campo, con grande disappunto dei tifosi, proprio perché dalla sua parte avrebbe tutto per sfondare. Ma di lui riparleremo presto. Per non farsi mancare niente, il Milan ha acquistato anche Jens Petter Hauge, norvegese, anche lui classe ’99, anche lui di ruolo ala sinistra (di piede destro). Poi ci sarebbe anche Daniel Maldini, classe 2001, trequartista di piede destro (e quattro!), longilineo ed elegante ma un po’ leggerino (come peso e come “garra”), cui – se devo dirvela tutta, scusate la lesa maestà – un bell’anno di serie B a prendere calci (vedi sopra) da difensori vecchi, cattivi, felici di poter infierire su quel cognome regale che altrimenti non incrocerebbero mai nella vita, farebbe un gran bene.

Per contro, il fronte destro dell’attacco manca di un vero padrone. Al momento sarebbe Samu Castillejo, che però non dispone della cifra tecnica e fisica per essere il titolare in una squadra con qualche ambizione. Talvolta al suo posto gioca il belga Alexis Saelemaeker, un altro ’99, adattabile a tanti ruoli, di piede destro. Poi ci sarebbe Brahim Diaz, talento spagnolo in prestito dal Real Madrid su cui il Milan proverà a ottenere un diritto di riscatto, brevilineo, grande tecnica, capace di giocare in tutti e tre i ruoli della trequarti (la sensazione è che lui preferisca quello centrale, ma essendo un ragazzo furbo ha capito che la sua fortuna sarà l’adattabilità). Resta un buco, là su quella fascia destra: un giocatore veloce e potente, di piede sinistro, capace di segnare almeno una decina di gol a campionato. Il modello universale per quel ruolo è Momo Salah del Liverpool: ce ne sarà una versione giovane, a buon mercato, da qualche parte, no? Morale: Moncada, lo cerchi e ce lo porti.

L’attacco: il ruolo del futuro

In attacco il Milan ha fatto il suo colpo migliore: il costoso rinnovo del contratto del totem Ibrahimovic, che prima di contrarre il Covid (o che il Covid contraesse lui) ha fatto in tempo a fare gol e assist con la stessa naturalezza con cui li aveva fatti nel periodo post-lockdown. La grande accusa che viene mossa alla dirigenza milanista è di non avere comprato un suo sostituto, giacché è evidente che il pur sovrumano trentanovenne non potrà giocare tutte le partite. Ebbene, anche se un onesto comprimario da buttare in campo a fare a spallate e “spizzate” di testa ci avrebbe indubbiamente fatto comodo (un Petagna, se non lo avessimo perso a zero, sarebbe stato perfettissimo), qui secondo me il Milan ha proprio deciso a mente fredda di NON investire: a coprire quel ruolo di riserva di Ibra – hanno pensato fin dall’inizio – saranno a turno Leao, Rebic e il giovanissimo Lorenzo Colombo, classe 2002 (!), un metro e ottantatre centrimetri, una stazza alla giovane Vieri, un sinistro molto educato, carattere, serietà (l’ho visto giocare in Primavera: fra i pari età fa paura).

Anche perché.

Anche perché il vero tema non è tanto il vice-Ibra, ma casomai il post-Ibra. Tra un anno Zlatan avrà 40 anni: sarà ancora lui il perno di tutto il gioco offensivo del Milan? Ne avrà voglia? Ce la farà fisicamente? Il Milan lo vorrà ancora? Il momento giusto per pensarci, ovviamente, è adesso e non fra un anno: perché la decisione non è di quelle banali, dal momento che si tratta di sostituire il leader tecnico, ma soprattutto fisico ed emotivo, quello che ha fatto svoltare la squadra nella seconda metà dello scorso campionato, il motivatore, l’allenatore in campo, eccetera. Secondo me il Milan farà intanto un tentativo di trasformare Leao in una prima punta, ruolo che a lui non piace ma che potrebbe interpretare con successo dati fisico e tecnica. Alle sue spalle maturerebbe il giovane Colombo, che ha un anno per imparare dal gigante Zlatan come ci si comporta nelle aree avversarie. Intanto, Maldini e soci si guarderanno intorno a caccia di occasioni. Volendo proseguire nel filone giocatori esperti-alti-forti, il suo sostituto naturale sarebbe Edin Dzeko, che in fondo anche quest’anno sembrava in procinto di lasciare la Roma senza troppi patemi. Oppure guardare al futuro, confidare che la squadra sia maturata emotivamente a sufficienza, consegnarne le chiavi ai giovani ma esperti senatori (Donnarumma, Romagnoli, Kessie, Calhanoglu) e puntare su un altrettanto giovane talento pescato in qualche campionato nordico.

Insomma. La squadra ha un buon telaio e – come avrete capito – un età media bassissima. Il giovane Milan di cui parlavo quasi due anni fa è paradossalmente diventato più giovane con gli anni. Le priorità restano un difensore centrale titolare (cioè sullo stesso livello di Romagnoli e Kjaer, con i quali possa alternarsi), un vice-terzino sinistro, un po’ di chiarezza sui terzini destri (paradossalmente di quattro che ne abbiamo potremmo scoprire che nessuno è quello giusto), un quarto centrocampista, possibilmente forte fisicamente, un esterno destro d’attacco. Qualcuna di queste operazioni potrebbe essere fatta nel mercato di gennaio, di fronte a occasioni interessanti (o di clamorose insufficienze quali-quantitative).

E poi c’è la grande questione del dopo-Ibra, con tutte le complessità di cui abbiamo parlato. Sostituirlo non sarà facile. Meglio, Ibra non potrà essere sostituito da un altro giocatore, ma da un gruppo: ognuno dovrà farsi carico di un pezzo del suo immenso carattere, perché cuori così grandi, spalle così larghe da reggere quel peso, al momento non se ne vedono. Potrebbero – cuore e spalle – emergere sotto la casacca numero 99 di Gigio Donnarumma, che potrebbe diventare il totem del Milan, dopo un fastoso rinnovo quinquennale che spazzasse via troppi anni di equivoci e di ansia.