Dieci Secondi - Anno 2, puntata 5

Ray LaMontagne: Till The Sun Turns Black

23 Maggio 2018

Proviamo a immaginare la situazione: sei un ragazzino americano; i tuoi genitori si separano poco dopo la tua nascita. Hai cinque fratellini, e la mamma inizia a girare per gli Stati Uniti fermandosi ovunque possa trovare una casa e un lavoro. Tu sei sempre l’ultimo arrivato a scuola, quello che non conosce nessuno, quello che riparte quando aveva iniziato a farsi degli amici. Non stupisce, allora, che quando inciderai un album lo intitolerai Trouble, cioè guaio.

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Ma prima dobbiamo fare un passo indietro. Perché il nostro ragazzino miracolosamente si diploma e finisce a lavorare in una fabbrica di scarpe nel Maine. Poi un giorno la radiosveglia si accende alla solita ora e trasmette un brano di Stephen Stills, una sorta di country blues acustico che parla di un pilota reduce del Vietnam che si guadagna da vivere volando appena sopra gli alberi, per stare sotto la quota dei radar,  contrabbandando qualsiasi cosa gli venga richiesta. Il brano si chiama Treetop Flyer, e fa così.

Ascolto Treetop Flyer.

Era Treetop Flyer, un brano di Stephen Stills. E questa è dieci secondi, su Radio Popolare. Insomma, sarà la musica, sarà la voce, sarò la storia del pilota che nelle mani di Stills si trasforma in un inno libertario al fuorilegge dei cieli: fatto sta che Ray LaMontagne, cioè il protagonista della nostra storia, si alza dal letto e capisce che quello che vuole fare è comporre, cantare e suonare le sue canzoni. Inizia ad ascoltare i grandi della musica americana. E nell’estate del 1999 ha completato un demo con dieci pezzi, che inizia a circolare, che piace, che gli varrà un contratto con la Rca. Ci vorranno cinque anni per ascoltare il suo  l’album d’esordio: ma ne varrà la pena.

L’album, lo dicevamo in apertura, si intitola Trouble ed è una raccolta di moderne canzoni folk, accompagnate da una chitarra acustica, con una strumentazione ridotta all’osso. E allora che c’è di nuovo? C’è che Ray compone canzoni di una genuinità assoluta, nelle quali l’emozione sembra quasi sfuggirgli di mano. E soprattutto c’è la voce, che è stata definita in mille modi: di sabbia, di carta vetrata, rauca, fumosa, alcolica. Di certo è splendida, emozionante, inconfondibile. Ascoltiamola.

Ascolto Trouble.

Era proprio Trouble, il brano che apre l’omonimo disco di esordio di Ray LaMontaigne, e questa è “Dieci Secondi”, su Radio Popolare.

“I guai hanno perseguitato la mia vita da quando sono nato, le preoccupazioni non sembrano volermi lasciare in pace”, canta Ray con la sua voce che – dice lui – viene dalla pancia, anzi, “from the guts”, dalle budella, non dalla gola. Una voce che sembra portare con sé tutta la fragilità del bambino sballottato da una città all’altra.

L’album piace alla critica e ottiene anche un buon riscontro di pubblico, vendendo oltre 500mila copie in tutto il mondo. Pur suonando un genere di per sé non innovativo, Ray ha un tocco originale e inconfondibile: e così la Rca si attrezza per la registrazione del secondo album.

Ray LaMontagne_Till The Sun Turns BlackPer il secondo album c’è il tempo di fare le cose per bene. Sempre affidato alle cure della Rca e del produttore-musicista Ethan Johns, Ray osa: potrebbe affidarsi al suo country-folk-rock d’autore, che gli riesce così bene, e invece spicca un balzo verso una nuova dimensione. “Till the Sun Turns Black” (finché il sole diventa nero: sempre un titolo allegro, eh?) è un disco di pop-rock adulto, di “American music”, difficilmente catalogabile. Alla chitarra acustica si aggiungono note di violino, violoncello, pianoforte. Ma il risultato non è di affollamento: al contrario, all’interno di questi delicate costruzioni musicali la voce di Ray può risaltare con ancora maggiore efficacia. Per esempio nel secondo brano dell’album, intitolato “Empty”, vuoto.

Ascolto Empty.

Era Empty, dal secondo album di Ray LaMontaigne, When The Sun Turns Black. E questa è 10 Secondi su Radio Popolare.

“Mi sentirò sempre in questo modo, cosi vuoto, così estraniato?”, canta Ray in Empty, che è un po’ la prosecuzione ideale di “Trouble”.  Il tono è pacato, ma i “demoni”, che Ray cita nella terza strofa, non lo abbandonano mai. Il ragazzo che cambiava sempre scuola non ha ancora trovato la pace, ma di certo ha trovato un’ispirazione profonda. I temi non sono nuovi, anzi: guai, disgrazie e demoni sono la materia prima di tre quarti di tutti i brani blues e folk, ma Ray LaMontagne ha una voce così originale che scegliere un brano da questo album perfetto è un esercizio davvero difficile. Come non innamorarsi, ad esempio, di Barfly, il termine con cui gli americani indicano la gente che passa troppo tempo al bar? La voce di Ray è sussurrata come non mai, ma a soccorrerlo arriva – quasi impercettibile – quella della brava Raechel Yamagata. E nel finale una chitarra elettrica che sembra venire dai primi Dire Straits.

Ascolto Barfly.

Era Barfly, ancora dal secondo album di Ray LaMontaigne. Questa è 10 Secondi su Radio Popolare.

C’è una frase che Ray ripete numerose volte in Barfly: “Kiss me before you go, I’m going nowhere lately”, cioè “Baciami prima di andare via, io alla fine non vado da nessuna parte”. Sì, perché in tutti questi brani c’è sempre una presenza femminile, evocata con dolcezza. Eppure sembra sempre che non basti a placare la solitudine e il senso di straniamento dell’autore.

Insomma, qui la prova del secondo album non è soltanto superata a pieni voti. Qui il secondo album conferma e sopravanza tutte le speranze emerse con Trouble. Da questo momento, Ray è una presenza importante nel panorama musicale americano: non è importante quali influenze e quali generi aggiungerà – come vedremo – alla sua tavolozza. Ciò che conta è che siamo in presenza di una grande voce e – particolare spesso trascurato – di un grande autore, capace di fare suo tutto quello che trova, assembla e canta.

L’album successivo – il terzo – debutta al terzo posto della classifica americana e di nuovo presta numerosi brani a film e serie Tv, a dimostrazione del fatto che pur suonando un genere “classico”, Ray è in perfetta sintonia con quello che succede intorno a lui. Con il quarto album, invece, vince un Grammy per il migliore album di folk contemporaneo.

Ma anche se – come dicevamo – quella del folksinger contemporaneo è probabilmente la sua incarnazione più riuscita, Ray non sta fermo. E nei due dischi successivi aggiunge nuovi colori e torna a collaborare con produttori di grande personalità.

Il quinto album, uscito nel 2014, è prodotto infatti dal leader dei Black Keys, Dan Auerbach, ed è un tuffo nei suoni analogici degli anni 60 e 70, un grande e accurato lavoro di ricostruzione sonora di un’epoca, sul quale Ray appoggia la sua voce sussurrata.

E il brano che chiude l’album è la summa perfetta di questo stile: una ballata che potrebbe venire da un vecchio disco dell’età dell’oro del folk-rock americano, ricreata con gusto impeccabile nello studio di Dan Auerbach a Nashville. È forse un delicato ricordo autobiografico di quel ragazzino di cui parlavamo all’inizio, che saltava la scuola e andava al cinema a vedere i suoi eroi. “Voglio essere il tipo che non ama fare a botte, ma che ti rompe il culo se tocchi la sua ragazza; voglio essere quello che infrange le regole, ma i poliziotti lo lasciano in pace perché è uno in gamba”, canta Ray, ricreando un’atmosfera che più che alla sua infanzia nei tardi anni 70 sembra assomigliare all’America ingenua degli anni ’50. E infatti il brano si intitola Drive-In Movies.

Ascolto Drive-In Movies.

Era Drive-In Movies, il brano che chiude il penultimo disco di Ray Lamontagne, Supernova. E questa è 10 secondi su Radio Popolare.

Insomma, un grande artista, Ray LaMontagne; e un grande secondo disco il suo, forse davvero il suo capolavoro, pur in una discografia di grande varietà e spessore, che ha continuato a evolversi fino all’ultimo album, datato 2016.

Intanto questa puntata di 10 secondi finisce qui. Un saluto da Luca Villani e appuntamento sabato prossimo sempre su Radio Popolare, sempre con la regia di Niccolò Vecchia, sempre alle 17, per parlare di un altro grande autore americano, che purtroppo ci ha lasciati alla fine del 2017: Tom Petty.