Calcio

Il Milan agli interisti

22 Giugno 2015

Esiste a Milano una consolidata vox populi secondo la quale Silvio Berlusconi sarebbe in realtà interista. Se dobbiamo credere a Vittorio Dotti, che di Berlusconi fu a lungo il principale consulente legale (ai tempi si diceva che si occupasse delle faccende legali mentre Previti si occupava di quelle illegali), non è vero: Berlusconi è sempre stato milanista. Fu, però, vicinissimo ad acquistare l’Inter da Fraizzoli, anche perché il Milan – gli aveva detto il suo mago personale – “portava sfortuna”.

Boh. Allora vorrà dire che Berlusconi è diventato interista (magari a sua insaputa, come forma collaterale di un evidente delirio senile) in tarda età. È il sogno di ogni tifoso: una quinta colonna nella squadra più odiata, in posizione chiave, per fare danni. È la realizzazione della barzelletta preferita di Peppino Prisco, nella quale un interista (lui stesso?) si convertiva in punto di morte: “Perché?”, gli chiedevano affranti gli amici. “Perché così muore un milanista”.

Non si spiegherebbero altrimenti le ultime (e anche le penultime) mosse del proprietario del Milan, improntate alla sistematica demolizione dell’immaginario rossonero, attraverso i suoi campioni più rappresentativi.

La vicenda del glorioso Milan di Berlusconi finisce – di fatto – nel 2007, con la vittoria della Champions League (la drammatica rivincita sul Liverpool) e poco dopo con il Mondiale per club e con il Pallone d’Oro di Kakà. Poi inizia la demolizione. Lo scudetto del 2011 c’entra poco con la storia del Milan: tanto è vero che prelude al disastro tecnico e societario, forse lo alimenta persino.

Nel 2009 lasciano il Milan Kakà, Maldini e Ancelotti, cioè il più grande talento, premiato col Pallone d’Oro due anni prima, il capitano e l’allenatore. Come lo lasciano? Fra gli applausi? No: con un misto di inganno e di ignominia.

Inganno. Kakà viene venduto a dicembre al Manchester City per 100 milioni, poi qualcosa si inceppa, forse lo stesso Ricky non è convinto di una squadra che all’epoca è ricca di soldi arabi ma assai poco blasonata, e in parallelo parte una vera protesta popolare con cori sotto la sede del Milan (allora in via Turati) e sotto casa Izecson Dos Santos Leite (sì, Kakà ha un cognome, anzi parecchi), in via Saffi. Berlusconi, da par suo, ci si tuffa: finge di avere miracolosamente trattenuto Kakà, mentre in realtà è vero il contrario. L’estate successiva Kakà viene ceduto al Real Madrid, ma nell’ambiente lo sanno tutti da gennaio: con i 67 milioni di euro della cessione si tappa un bel buco di bilancio. Piccolo dettaglio: il 6 e 7 giugno del 2009 si tiene un turno di elezioni amministrative. Berlusconi trova il tempo di dire che ha chiesto a Kakà di ripensarci (lo aveva già venduto a gennaio, ripeto) e che aspetta una risposta: quando? Lunedì 8, naturalmente. (Gustoso dettaglio nel dettaglio: a Firenze vince il ballottaggio un certo Matteo Renzi. Contro l’ex portiere del Milan, Giovanni Galli).

Matteo Renzi batte Galli

Ignominia. Negli stessi giorni lascia anche Paolo Maldini, per fine carriera: ha 41 anni (è del 1968), ha giocato solo nel Milan dalle giovanili al ritiro (per oltre 25 anni), è da molti considerato il più forte difensore di tutti i tempi, è stato il capitano della squadra per dieci anni. Vi ricordate come avviene il suo addio al calcio? Fra i fischi degli ultras. Difeso dalla società? Molto, molto tiepidamente. Galliani dice che “gli hanno consigliato di tacere. E Berlusconi? Niente: forse è timido. E così Paolo Maldini, 902 presenze nel Milan, è andato. Un ruolo in società, con la sua competenza, il suo carisma, la sua immagine pulita e autorevole? Certo, come no? Se ne parla dal giugno 2009: ma pare che non sia simpatico a Galliani. Tanti saluti. E due.

Maldini e i fischi dei tifosi

E tanti saluti anche a Carlo Ancelotti, l’allenatore delle due Champions, che se ne va piuttosto malsopportato, malgrado la retorica del maggio-giugno 2015 sul ritorno di “Carletto”, a puro scopo elettorale. Ancora una volta, la risposta è attesa il lunedì dopo un turno elettorale: il vecchio imbroglione nemmeno si ricorda che questo scherzetto lo ha già fatto – uguale identico – sei anni fa.

(Per Ancelotti, comunque, non preoccupatevi: negli anni successivi i suoi datori di lavoro si chiameranno Chelsea, Paris Saint Germain e Real Madrid. I suoi eredi non dovranno lavorare per 15 generazioni).

Ve la faccio breve, così arriviamo in fretta ai giorni nostri. E alle conclusioni.

Ambrosini, addio al Milan

Nel 2013 Massimo Ambrosini, divenuto capitano dopo l’addio di Maldini, lascia il Milan dopo 18 anni e una sfilza di titoli che vi risparmio. La decisione viene presa unilateralmente dalla società e comunicata da Galliani ai media durante una crociera (la location ideale per un gesto così elegante), senza che il giocatore abbia potuto salutare il pubblico a San Siro (ammesso che i galantuomini ultras di cui sopra glie lo avessero concesso): Ambrosini ci rimane malissimo, tanto che qualche giorno dopo viene frettolosamente organizzata a San Siro una conferenza stampa piuttosto dimessa, durante la quale il giocatore si commuove e non riesce a nascondere l’amarezza per un commiato così sottotono. E tre.

Il 12 gennaio 2014 il Milan riesce a perdere 4-3 con il Sassuolo (a un certo punto vinceva 2-0), grazie a quattro reti di Berardi. La squadra andava già maluccio (è undicesima, a trenta punti dalla Juve capolista) e Allegri è arrivato al capolinea. Ma mentre tutti si aspettano che la panchina passi a Pippo Inzaghi, che sta facendo molto bene con la Primavera dopo avere allenato la categoria inferiore, gli Allievi, ad allenare il Milan viene chiamato nientemeno che Clarence Seedorf, che sta ancora facendo il giocatore, in Brasile.

Si dice che sia un capriccio del presidente, condiviso da pochi. Seedorf arriva (con un contratto per due anni e mezzo a 2,5 milioni di euro l’anno, tantino per un debuttante) e si insedia, dicendo di ispirarsi a Phil Jackson. Nel girone di ritorno avrà una media punti decisamente più alta di quella di Allegri (anche se mancherà per un soffio la qualificazione all’Europa League), ma non verrà riconfermato, malgrado gli altri due anni di contratto. Non solo: del suo esonero a fine stagione si parla praticamente da marzo. Che cosa sia successo, non si sa. “Cattiva gestione dello spogliatoio”, mormora la stampa codina. E se fosse un bene avere alzato un po’ la voce, visti i brillanti risultati? Fatto sta che Clarence Seedorf, 300 partite nel Milan, unico calciatore ad avere vinto la Champions League con tre squadre diverse, se ne va dal Milan – dove era stato chiamato abbastanza inspiegabilmente – come un appestato, anche se molto benestante. E quattro.

Chi arriva al suo posto? Naturalmente Pippo Inzaghi, leggendario cuore rossonero, che nel frattempo ha proseguito la sua stagione alla Primavera del Milan respingendo le avances del – guarda un po’ i corsi e ricorsi storici – Sassuolo, quello dell’esonero di Allegri.

Finalmente. Pippo parte benino, con una squadra costruita a casaccio come al solito e a fine 2014 si congeda battendo 2-0 il Napoli, accreditato di ben altri mezzi e ben altre ambizioni. Alla ripresa, purtroppo, la squadra inizierà a giocare inspiegabilmente male, al di sotto di ogni aspettativa (pur bassa), e si qualificherà decima a fine campionato, mancando la qualificazione a qualsiasi coppa europea e addirittura vedendosi costretta a giocare il turno di qualificazione alla Coppa Italia, che per la società che ha vinto sette Coppe dei Campioni non è proprio il massimo.

Pippo Inzaghi esonerato

Come sapete, Inzaghi è stato esonerato ufficialmente pochi giorni fa: precisamente il 12 giugno 2015. Ma, come già Seedorf, Pippo era un dead man walking da mesi: esce da questa vicenda con un post su Facebook nel quale si professa milanista a vita e parla (strano!) di amarezza e delusione. Ancora una volta, il problema non è l’esonero in sé, ma lo spettacolo ennesimo di un atleta simbolo bruciato per incuria. E cinque.

Mihajiovic al Milan

Rimosso Inzaghi possiamo così ammirare, il cuore gonfio di soddisfazione, una sinistra foto del nostro nuovo allenatore con il suo staff (non stanno giocando a Texas Hold’em, contrariamente alle apparenze). Si tratta di Sinisa Mihajlovic, cuore nerazzurro e laziale (due squadre che noi milanisti amiamo particolarmente, essendo anche gemellate fra loro) che solo nel 2010 aveva dichiarato che non avrebbe mai potuto allenare il Milan, “a costo di morire di fame”.

Per carità, nella vita si può anche cambiare idea e il calcio è fatto così, di incendiari che diventano pompieri davanti ai primi capelli grigi e a un bel contratto, e forse è anche un bene: non siamo mica in guerra (Mihajlovic sì, lui lo è: leggere le sue dichiarazioni sulla Serbia e su Arkan mette i brividi). Ma qui siamo al paradosso: che la società Ac Milan organizzi negli stessi giorni la pubblica umiliazione di Pippo Inzaghi (202 partite e 73 gol nel Milan, segnando praticamente in tutte le finali vinte) e l’insediamento di un “nemico” storico, uno che si è definito troppo interista per poter allenare il Milan, è da non credere. Va bene il pragmatismo, va bene la realpolitik, ma qui siamo alla fantascienza, all’invasione degli ultracorpi.

Ultracorpi al Milan

Finita? Non ancora: datemi solo un attimo. Perché a giugno il Milan, dopo due anni di piccolissimo cabotaggio, si butta sul mercato con un’energia che pareva dimenticata da tempo. Gli obiettivi dichiarati sono Ibrahimovic e Jackson Martinez in attacco, Geoffrey Kondogbia a centrocampo e – minimo minimo – Miranda in difesa, ma possibilmente Hummels. In particolare, i due pezzi pregiati (Martinez e Kondogbia) sembrano già al sicuro, sotto chiave. “Manca solo la firma”, si dice in questi casi.

Ecco, la prossima volta è meglio mettercela. Perché JM ha nel frattempo firmato con l’Atletico Madrid, mentre il talentuoso centrocampista francese, giovanissimo, fortissimo, grossissimo, praticamente una copia del suo amicone Pogba, sapete dov’è? All’Inter (dove prima era arrivato Miranda, un po’ snobbato dagli interisti ma pur sempre titolare della nazionale brasiliana). E il 22 giugno, mentre io completo queste note malinconiche, saltella al grido di “Chi non salta rossonero è” (no, ragazzi, la foto non la metto).

Noi milanisti, in questi giorni di fine giugno, ce la caviamo facendo gli autoironici, mentre buttiamo un occhio poco convinto alle pagine di calciomercato dei media online, da cui la nostra squadra – guardacaso – è un po’ sparita.

È un caso? Sono coincidenze? Difficile crederlo. L’ultracorpo Inter si è evidentemente impossessato del Milan e lo sta distruggendo dall’inter(no), neanche tanto lentamente, neanche tanto subdolamente. Non vedo altre spiegazioni.

Sipario.