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Kobe vs Lega: dramma in tre atti

4 Febbraio 2020

KobeMilan

Immagine dal profilo Twitter di AcMilan

ATTO PRIMO: LE ULTIME ELEZIONI LIBERE

La notte fra domenica 26 e lunedì 27 gennaio non la dimenticheremo facilmente.

Elezioni amministrative in Romagna: uno spareggio in cui due visioni del mondo non solo diverse ma opposte, inconciliabili, incomunicabili (purtroppo), arrivano ad affrontarsi dopo una rincorsa troppo lunga ed emotiva. È un classico della politica italiana: ogni volta è la più importante, quella decisiva, addirittura l’ultima. “Le ultime elezioni libere”, abbiamo pensato più di una volta. Le elezioni per eleggere il presidente della regione Emilia Romagna hanno tutte le caratteristiche per entrare in questa galleria di ultime chiamate: la regione rossa per eccellenza sfidata da Matteo Salvini, l’uomo dei pieni poteri, l’uomo che infrange il silenzio elettorale, l’uomo che in ogni giorno degli ultimi due anni ha fatto una piccola prova di golpe a bassa intensità (una dichiarazione incostituzionale, un post volgare, un attacco sessista, una violazione di qualche regola) con l’evidente intenzione di misurare la soglia di tolleranza dell’elettorato e al tempo stesso di spostarla ogni volta un po’ verso il livello di gazzarra minacciosa che – da quando ne ho memoria – caratterizza la destra italiana. Tanto più che nei giorni precedenti – e ancora domenica stessa – erano girate voci di sondaggi rovinosi per il candidato del centrosinistra, Stefano Bonaccini: “Mettiamoci il cuore in pace, ragazzi, è persa”. L’Emilia Romagna alla Lega. Impensabile, eppure mai così probabile. “Le ultime elezioni libere”.

ATTO SECONDO: IL TELEVISORE IMPAZZITO

E quindi domenica sera, a cena a casa di amici, tengo lo smartphone a portata di mano: pur sapendo che i primi exit poll arriveranno a seggi chiusi, cioè dopo le 23, la tentazione – irrazionale – di sapere è irresistibile. E così, non ricordo se spontaneamente o richiamato dalla vibrazione del telefono, intorno alle 21 vedo un messaggio di mio figlio su Whatsapp: “È morto Kobe”. Ora, siccome conosco due persone che hanno un cane di nome Kobe; e siccome a mia figlia hanno regalato un povero pesciolino (di razza Blackmoor) che ultimamente sembra assai vicino a lasciare questa valle di lacrime (cosa che farà effettivamente il giorno dopo), la mia prima reazione è di pensare che sia morto il pesce. Poi, però, metto meglio a fuoco e penso che il pesce non si chiama Kobe, e che mai mio figlio mi scriverebbe per dirmi della morte di un cane di amici lontani. Non resta che una possibilità. Oso l’indicibile e scrivo: “Kobe Bryant?”. “Sì”.

Da qui la mia serata prosegue come in un televisore impazzito, su tre o quattro canali paralleli, come se qualcuno si fosse inavvertitamente seduto sul telecomando: su uno è tutto normale e, anzi, qualcuno dei commensali mi riprende scherzosamente: “E però ‘sto telefono, sei peggio dei miei figli”, e io mi scuso e cerco di fare conversazione come se nulla fosse: “Caspita, questo vino, molto particolare”; sull’altro, cazzo, è morto Kobe Bryant, il Black Mamba, l’idea stessa di basket e di passione, di determinazione, di forza di volontà disumana, quello che avremmo scelto se ci avessero chiesto di indicare una persona immortale: come è potuto succedere?; su un altro si avvicina il redde rationem elettorale e l’ansia è solo aggravata dalla cattiva notizia in onda sul canale due; sul quattro ci sono ancora io che provo a introdurre nella conversazione reale la notizia in onda sul due, ma mi pare che nessuno ne colga la gravità, lo share è bassissimo.

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Poi, all’improvviso, il cortocircuito fra due canali: la Lega (intesa come partito politico) fa uscire un tweet in cui piange la morte di Kobe Bryant sommergendola di hashtag elettorali (naturalmente a urne aperte, ennesima puntata del golpe a bassa intensità cui la destra dovrebbe averci abituati, e che tuttavia ci sorprende sempre). È un’oscenità talmente grave, odiosa, inammissibile (più tardi lo cancelleranno e diranno che si è trattato di un errore tecnico di tipo bla bla bla, si vede che i loro rilevatori di liquame hanno segnalato che stavolta era grossa e rischiavano di perdere le simpatie dei leghisti losangeleni) che cerco di riportarla nella conversazione reale (su quale canale? Politica? Sport? Lifestyle? Ammetto che devo consultare i responsabili del palinsesto perché non ci sto capendo più niente).

Intanto arrivano gli exit-poll, che danno Bonaccini avanti di tre punti circa, ma le forchette sono sovrapposte, segno che c’è confusione. Poi forse un secondo exit poll (o è una proiezione? Non mi ricordo) con quattro punti di vantaggio. Ma le recenti (e cocenti) delusioni dell’elezione di Trump e del referendum sulla Brexit, allorché andammo a letto nella realtà e ci risvegliammo nella distopia sovranista di The Man in The High Castle, inducono a grande prudenza.

Intanto la serata finisce. Torniamo a casa. Nel cuore, un po’ Bonaccini un po’ Kobe Bryant.

Nel frattempo sui social tutti i leader del centrosinistra iniziano a festeggiare. Però succede una cosa strana (almeno per me): inizia lo spoglio e la Borgonzoni è in vantaggio, un vantaggio netto che sta fra i cinque e i sei punti percentuali. E nessuno lo commenta.

EmiliaRomagnaMi dico, ovviamente, che il numero di seggi è troppo basso e che il campione non è significativo. Mi dico che avranno iniziato scrutinando dei seggi sperduti sull’Appennino, dove un’alimentazione sbagliata e il matrimonio fra consanguinei hanno prodotto un elettorato particolarmente retrivo. Però intanto i seggi scrutinati aumentano e il risultato non cambia. Con 207 seggi scrutinati su 4520 (ok, è il 5% scarso, mi dico: ma perché mai non dovrebbe essere significativo?) la Borgonzoni è al 50,2% contro il 45,2% di Bonaccini. Mi tornano in mente i sondaggi della mattina, quelli del “non c’è speranza”. Mi torna in mente Trump. Ecco, vedi? Abbiamo perso. Ma allora perché festeggiano tutti?

Ricarico i dati 100 volte, disperato. Poi, a un certo punto, senza preavviso, Bonaccini passa in vantaggio. Vado a letto stanchissimo, triste, felice, disorientato.

ATTO TERZO: IL 23ESIMO GIOCATORE È IL 24

È martedì sera, due giorni dopo, e un amico ha due biglietti per Milan-Torino di Coppa Italia. Dal Milan di questi ultimi anni ci si può aspettare di tutto: e infatti succede di tutto.

Passiamo in vantaggio: 1-0. Sembra fatta, tutto facile. E infatti il Torino segna, non una, ma due volte: 1-2. Partita praticamente finita. Ciao Coppa Italia. E invece no: in pieno recupero segna Calhanoglu. 2-2, si va ai supplementari. Alla fine la partita la vincerà il Milan.

Ma nello stadio di San Siro c’è un giocatore che non è in campo eppure è più presente di tutti gli altri 22: è Kobe Bryant, che era un noto tifoso rossonero e pertanto è particolarmente amato. Per qualche incomprensibile motivo, la Lega (intesa come Lega Calcio, questa volta) non ha concesso un minuto di silenzio, e la decisione viene avvertita da tutti come un sopruso insopportabile. C’è, sì, una piccola commemorazione con delle immagini sul maxi-schermo e una voce che recita delle cose retoriche e scritte male (con tutto quello che di epico e commovente si potrebbe dire – bene – e che effettivamente si sta dicendo in questi giorni, su Kobe). Ma quando la partita sta per iniziare, il pubblico si comporta come se ci fosse effettivamente in programma il minuto di silenzio, alzandosi in piedi ad applaudire. Poi l’arbitro fischia l’inizio della partita senza attendere un minuto bensì pochi secondi (come gli sarà stato detto di fare) e il pubblico inizia a fischiare e complimentarsi con la Lega (Calcio, ancora), sollevando più di un dubbio sulla professione delle mamme di chi ne fa parte.

SempreKobe

E poi c’è il minuto 24, 24 come il numero di maglia di Kobe: quando il pubblico, rispondendo a un segnale che non c’è stato ma che tutti sentivamo con assoluta certezza, applaude compatto per sessanta secondi, mentre i calciatori in campo continuano a giocare (sarebbe bellissimo se fermassero anche loro: fra l’altro quale regolamento potrebbe impedirlo?).

È un’altra notte folle, quasi come quella di domenica. La partita infinita, che con i due tempi supplementari e gli intervalli arriva a durare quasi due ore e mezza; il punteggio che cambia sei volte, ribaltando più volte la qualificazione alle semifinali; ma soprattutto il gigantesco assente-presente, il mancato minuto di silenzio e il minuto di applausi spontanei; e persino il risultato finale (4-2) che sembra uno scherzo del dio burlone dei numeri, ancor più se si considera che nell’Nba, dove nel punteggio viene prima la squadra che gioca in trasferta, per ospitalità, sarebbe 2-4 e che Kobe ha giocato in tutta la sua enorme carriera con due soli numeri di maglia: l’8 (4×2) e il 24.

EPILOGO

Mai fidarsi delle Leghe. #MambaOut. Sipario.