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Coronavirus: e se facessimo silenzio?

24 Febbraio 2020

Come ci hanno insegnato a scuola guida, quando dietro di noi compare un’autoambulanza si accosta e la si lascia passare. Senza interpretazioni soggettive. Questo in teoria: in pratica, come vi sarà capitato di notare (io, dal mio osservatorio privilegiato di motociclista con vista a 360 gradi sul traffico, dispongo di una ricca casistica) le reazioni sono piuttosto variegate.

Innanzitutto ci sono coloro che ritengono opportuno “togliersi di mezzo”: invece di fermarsi avanzano. Ogni automobilista di questa categoria – immagino – penserà: “Intanto io mi sposto: così non perdo tempo e comunque poi, una volta libero dal traffico, mi lascerò sorpassare dall’autoambulanza”. In pratica, poiché a farlo non è uno solo ma un intera pattuglia di illuminati, essi spostano perpetuamente in avanti il blocco che ferma o rallenta l’autoambulanza. E magari suonano pure a quello davanti a loro perché – come loro – non si sposta.

Ci sono poi i valorosi che tentano di infilarsi nella scia dell’ambulanza. E, variante ancora più subdola dei precedenti, quelli che, dopo essersi fermati per consentire il passaggio del mezzo di soccorso (bravi), tentano di superare in ripartenza la macchina (o la moto, ahimè) che si è fermata davanti a loro, cercando di emulare le strategie di uscita dai box della Formula Uno e di guadagnare una posizione nel gran premio del traffico cittadino.

Mi sono venuti in mente, questi comportamenti, osservando le reazioni sui social network al fenomeno – al momento in cui scrivo ancora abbastanza oscuro – del Coronavirus, o meglio del COVID19.

I social sono la strada. E le ambulanze sono i post scritti da autorità indiscusse (medici, ricercatori, divulgatori scientifici di comprovato livello, istituzioni pubbliche). Come sarebbe bello se tutti accostassimo e facessimo passare l’ambulanza, così, senza interpretare la norma, con un senso di serenità e di quello che potremmo chiamare egoismo collettivo: “Se l’ambulanza passa, anch’io sono più sicuro: perché quando toccherà a me, gli altri la faranno passare”.

E invece niente. Passi per i post manifestamente ironici. Ma poi: i complottismi, le critiche al sindaco, alla Regione, al Governo, le notizie apprese dal cugino, le sicurezze apodittiche su come si sarebbe dovuto fare, il sarcasmo sulle “assurdità” che solo l’astuto commentatore (ovviamente analfabeta e disoccupato, ma guarda la sfortuna!) ha scoperto, solo contro tutti, i pestilenziali “non sono un addetto ai lavori, ma…”, la polemica politica, i porti chiusi e i porti aperti, i “mi dovete delle scuse”, i “no ce le devi tu”, il dire tanto per dire, il Coronavirus narcisistico, come la foto dell’antipasto di pesce al ristorante. Il Coronavirus gattino. In un fragore generale che altera le coscienze e ostruisce il passaggio delle poche informazioni utili.

Immagine dal profilo Facebook di Emanuele Fiano. Grazie.

Immagine dal profilo Facebook di Emanuele Fiano. Grazie.

Spostiamoci, invece. Lasciamo passare l’ambulanza e basta. Facciamo spazio, in modo che i messaggi di chi sa qualcosa abbiano maggiore risalto e che le stupidaggini e i complottismi non alimentino un clima già piuttosto surreale, che porta la gente a comprare 64 bottiglie d’acqua al supermercato e che alla fine – temo – farà più danni del virus in sé.

Sarebbe bello che, una volta passata, questa bufera ci lasciasse in eredità una cosa (oltre a come lavarci le mani correttamente, dottrina predicata invano dalle mamme di tutta Italia): la riscoperta della competenza. E la straordinaria bellezza, direi quasi la voluttà, del silenzio, quando non si ha niente di intelligente da dire.