Dieci Secondi - Anno 1, puntata 6

Bruce Springsteen: The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle

10 Aprile 2018

Dieci Secondi, anno 1 – Puntata 6

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Tutte le volte che un cantautore con la chitarra, meglio se di estrazione urbana, si affacciava sulla scena musicale, il riflesso automatico dell’industria musicale – che è sempre alla ricerca di semplificazioni – era quello di definirlo “il nuovo Dylan”. Naturalmente il nuovo Dylan non è mai stato trovato: forse perché è stato Dylan stesso, capace di reinventarsi così tante volte da sbarrare la strada a qualsiasi successore, forse perché nessuno è il nuovo qualcun altro.

Ma, certo, quel giovanotto di origine mezzo italiana (la mamma si chiama Adele Zirilli), con la mascella spavaldamente fuori asse, che assomiglia ad Al Pacino in Serpico, qualche iniziale analogia la evocava davvero, e presto ci torneremo sopra. Stiamo parlando, lo avrete capito, di Bruce Springsteen. E un piccolo favore, certamente involontario, il maestro (cioè Dylan) glie lo fa: perché nel 1973 non pubblica nuovi album, quasi volesse fare spazio per il più promettente fra i colleghi. Uno spazio usato come meglio non si potrebbe: perché mentre Dylan fa il cowboy nel film Pat Garret & Billy The Kid, Springsteen spara fuori ben due album in nove mesi.

Il primo esce a gennaio del 1973 e si chiama come una cartolina turistica: saluti da Asbury Park, una cittadina turistica sulla costa Est fondata a fine Ottocento e al momento in pieno declino. E si apre con quella che appare come una dichiarazione programmatica, per un esordiente che esce allo scoperto: accecato dalla luce. Blinded by the Light.

Ascolto Blinded by the light.

Blinded by the Light, uno dei migliori brani dell’album, ci rivela diverse caratteristiche dello sconosciuto artista. Innanzitutto un grande gusto nel giocare con le parole, con le rime e le assonanze, in un modo che – questo sì – ricorda molto Dylan. Vi ricordate il testo di Mr Tambourine Man? “Take me on a trip / upon your magic swirling ship / my senses have been stripped, my hands can’t feel the grip”, eccetera eccetera, cantava Dylan. Oppure “Subterranean Homesick Blues”, quella con il video (il video, nel 1965!) in cui Dylan getta per terra i cartelli con le parole? Ecco: Springsteen, qui, scrive un’intera, lunga canzone fatta tutta di assonanze, che inizia con “Madman drummers bummers and Indians in the summer “. Ma ovviamente c’è anche altro: intanto il suono pieno, arrangiato, ricco di influenze, già oltre i limiti del folk-rock americano, destinato a diventare IL suono di Springsteen: non c’è ancora la E-Street Band nel suo assetto definitivo, anche se c’è già Clarence Clemons al sax, che tanta importanza avrà nel suono e negli spettacoli dal vivo del Boss. E poi, anzi, sopratutto, c’è la poetica di Springsteen: un mix di ottimismo, di ingenuo entusiasmo fatto di poche cose, una macchina, una ragazza, un sabato sera, e di piena consapevolezza di un destino duro, di una strada tutta in salita per chi viene dalla città o dal quartiere sbagliato. La dialettica fra speranza e disillusione è in fondo l’essenza stessa di Springsteen, e lo accompagnerà per tutta la sua carriera, spostandosi gradualmente verso le tinte più cupe ma senza mai rinunciare al sogno.

Ma intanto archiviamo il primo disco e mettiamoci in attesa del secondo. Che arriva molto in fretta. Bruce scoppia di idee, di canzoni, di musica, di arrangiamenti. E così, ben prima che il 1973 sia finito, anzi, in una data che diventerà tristemente famosa in tutto il mondo, l’11 settembre, arriva il secondo album, intitolato come un western di Sergio Leone: “The wild, the innocent & the E-Street Shuffle”.

The Wild The Innocent & The E Street Shuffle

L’album presenta alcune analogie con il primo: si apre, proprio come il precedente, con una chitarrina funky e con una canzone che porta lo stesso titolo del disco, e che rappresenta una dichiarazione di intenti. Ascoltiamo, allora, “The E Street Shuffle”.

Ascolto E Street Shuffle.

Con questo brano compare ufficialmente sulla scena la E-Street, che darà – poi – il nome al gruppo che accompagnerà Springsteen praticamente per tutta la vita. La E-Street, contrariamente a quanti molti pensano, non si trova ad Asbury Park e non è l’indirizzo di casa di Bruce. È a Belmar, sempre nel New Jersey, e ci abita il tastierista David Sancious il quale – un po’ ingiustamente – non farà parte mai della E-Street Band ufficiale, che comparirà – lo vedremo – col terzo disco.

Ma torniamo al secondo. Un album che sviluppa i temi del precedente, un album pieno di varietà musicale, di brani potenti e delicati, al centro del quale c’è quel mix inconfondibile, di cui abbiamo parlato, di ottimismo e rassegnazione, in cui nessuno dei due sentimenti riesce mai a prevalere del tutto sull’altro, in un equilibrio che rappresenta la vera “Weltanschauung”, la visione del mondo springsteeniana: è dura, ma ce la faremo; ce la faremo, ma è dura.

Ma parlare di questo album, pur pieno di belle canzoni, significa necessariamente parlare di un brano che – oltre a rappresentare alla perfezione questo ottimismo spavaldo da quartieri popolari – è diventato il simbolo stesso della dimensione migliore di Springsteen: quella dal vivo.

Qui c’è davvero la grande capacità di Bruce di sintetizzare immagini, miti, luoghi comuni, e farne un racconto nuovo: lei è chiusa in casa dal padre severo (e pure gretto, visto che ne fa anche una questione di sicurezza economica), il che risale in fondo a Romeo e Giulietta. Ma lui arriva a liberarla, rassicurandola fra l’altro di avere avuto un anticipo dalla casa discografica, il che dovrebbe attenuare le preoccupazioni paterne; nel frattempo la macchina (altro elemento fondativo del mito springsteeniano) è bloccata nel fango. Nondimeno, Bruce le promette di portarla in un piccolo caffè in California del Sud (il viaggio a Ovest, altro mito americano) dove si suona la chitarra tutta la notte. Insomma: uno così non lo ferma nessuno.

La canzone – lo avrete – capito è Rosalita, per qualcuno il più grande pezzo rock di tutti i tempi, di certo il ritornello più travolgente di tutto il repertorio del Boss. “Rosalita, come out tonight”.

Ascolto Rosalita. 7’05”

E questo secondo album – fosse anche solo per questo brano – merita di rimanere nella storia. Eppure quando uscì non ebbe grande successo di pubblico: in Inghilterra, per dire, entrò in classifica solo nell’85 in seguito all’uscita – e al clamoroso successo – di Born in the Usa.

Ma Bruce non si dà per vinto e progetta la sua opera più ambiziosa. A soli 25 anni, nel 1975, partorirà quel complicatissimo capolavoro che è “Born to Run”, l’album della consacrazione anche commerciale, registrato in 14 mesi di lavoro, con un grande budget e fortissime tensioni in studio: “Sento suoni nella mia mente, ma non riesco a spiegarli agli altri”, dichiara frustrato. Alla fine ci riuscirà, eccome. Born To Run, a partire dalla famosa copertina con la foto di Bruce e Clarence Clemons appoggiati, diventa uno degli album più importanti della storia della musica rock.

Vi ricordate Rosalita? Diceva, a un certo punto: “And together we’re gonna go out tonight and make that highway run”, cioè “e insieme ce ne andremo fuori stanotte e faremo quella corsa sulla superstrada”. Ora Rosie è diventata Mary. E “Thunder Road”, il brano che apre “Born to run” è una Rosalita un po’ più adulta e forse più disillusa. Bruce ce la mette tutta per convincere noi e Mary (che non ha un padre possessivo, ma forse qualche cicatrice esistenziale in più) che il sogno e la speranza restano, ma resta il dubbio che le cose possano anche andare male: e l’armonica dell’inizio sembra sottolinearlo malinconicamente. “Thunder Road”.

Ascolto ” Thunder Road”.

Certo, per ogni canzone di Springsteen, e sui rapporti fra una e l’altra, si potrebbe scrivere un libro. Così come potremmo chiederci se la Mary di Thunder Road è la stessa Mary di The River, con cui le cose finiscono male. Ma il tempo a disposizione è finito: e, intanto, questa sera abbiamo provato ad accendere una luce sullo Springsteen degli esordi, forse un po’ meno conosciuto. E su un secondo album magari imperfetto rispetto ai capolavori della seconda metà degli anni ’70, ma già pieno di “springsteentudine”, se mi passate il termine.

L’appuntamento, intanto, è per giovedì prossimo e per la settima puntata di “Dieci Secondi”. Una puntata nella quale parleremo di un gruppo nato negli anni ’90 e tuttora in gran forma: la Dave Matthews Band. A giovedì, quindi, Per ora, buon proseguimento di serata e buoni ascolti.