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Doppio malto, e non sai cosa bevi

25 Maggio 2013

La birra doppio malto non esiste. Punto. E allora perché se ne parla tanto? Vediamo di fare ordine. La sciagurata espressione compare per la prima volta nella legge 1354 del 16 agosto 1962 (occhio alla data: ma quel giorno non potevate andare al mare, benedetti ragazzi?), che regolamenta la fabbricazione e il commercio della birra.

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Non ve la faccio lunga: il legislatore stabilisce varie categorie di birra, ma non in base alle caratteristiche stilistiche della birra stessa (che so, alta o bassa fermentazione). No: secondo finalità sue (fiscali). E decide che una birra con un grado alcolico superiore al 3,5% (cioè praticamente tutte) e un grado saccarometrico superiore a 14,5 (qui è un po’ più complicato) rientra in una certa categoria. Fin qui, diciamo, niente di male: il legislatore fa quello che deve, o che gli serve in quel momento. Il problema è che sceglie una definizione fuorviante: doppio malto, appunto. Come dire che un vino più alcolico si chiama “doppia uva”. La quale definizione diventa di dominio pubblico e vaga nello spazio come un meteorite, sbattendo qua e là e producendo piccoli e grandi guasti culturali. Oggi per birra doppio malto si intende comunemente una birra con un grado alcolico superiore a 6,5% (che, come si vede, non è quello che dice la legge): ma è una birra con più malto di altre? È una birra rossa? E le birre più sono scure più sono alcoliche? La risposta a queste domande è no. E intanto il danno è fatto.

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Già, il danno. Perché in Italia si beve pochissima birra: meno di 30 litri a testa contro gli oltre 70 della media europea e gli oltre 100 di Austria e Germania (Repubblica Ceca e Belgio viaggiano vicini ai 140, ma qui parliamo di assoluti fuoriclasse). Nel nostro Paese c’è altresì scarsissima cultura birraria, e forse i due fenomeni sono collegati. Non solo: a fronte di una generale tendenza verso l’innalzamento della qualità media, ci sono ancora troppi esempi di questa incultura, che certo non aiuta i consumatori a capire e a scegliere.

Guardandola in positivo, possiamo dire che si beve più birra a pasto, anche in abbinamento con piatti elaborati, e sembra finalmente accettato il concetto che la birra possa essere consumata in un contesto gastronomico di qualità. Di contro la confusione rimane: e, nella confusione, a sguazzare sono i colossi internazionali (sappiate che pochissimi gruppi, con centinaia di marchi ciascuno, si spartiscono il mercato dando un’immagine di varietà più illusoria che reale), che fanno passare prodotti industriali – seppur ben confezionati – come birre di alta qualità: con qualche complicità di troppo, come quella dei grandi chef che organizzano degustazioni dei loro piatti in abbinamento a birre industriali (come Sadler, che “consiglia” la birra Moretti Baffo D’Oro, del gruppo Heineken: ma come, caro Sadler? Se i prodotti delle multinazionali olandesi sono così buoni, allora converrebbe mangiare direttamente i Sofficini Findus, invece dei suoi costosi manicaretti).

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Mentre a guadagnare da un progressivo innalzamento del livello medio dovrebbero essere i birrifici artigianali. Che però rappresentano fra l’uno e il due per cento del mercato italiano, da dividere fra oltre 500 microbirrifici. In attesa di diventare grandi dimensionalmente, forse sarebbe il caso di iniziare a diventare grandi culturalmente. Anche i birrifici artigianali, infatti, qualche volta si lasciano scappare l’espressione “doppio malto”, forse pensando di farsi capire meglio dal grande pubblico e rinunciando così a fare un po’ di cultura e a preparare il terreno per il futuro.

Insomma: se entrando in un pub ordinate con aria da esperti una birra “doppio malto”, sappiate che una birra vi arriverà (scommetto che sarà rossa), ma la verità è che si tratta di un sostanziale malinteso, ancorché largamente condiviso. Se posso dare un consiglio, chiedete prima che birre ci sono, se ci sono birre particolari, magari in bottiglia, meglio se artigianali. Cercate di capire se si tratta di una birra in stile lager, pils, bitter, India pale ale, di una birra d’abbazia: avranno profumi e sapori molto diversi, alcuni dei quali vi piaceranno di più, altri di meno. Piano piano, capirete (e quindi berrete) sempre meglio.