Dieci Secondi - Anno 1, puntata 5

Grant Lee Buffalo: Mighty Joe Moon

9 Aprile 2018

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

C’è un mito, nella storia della musica: quello secondo cui il 1971 è stato l’anno perfetto. “Doveva esserci qualcosa nell’acqua”, ha scritto qualcuno: e doveva trattarsi di qualcosa di illegale, aggiungiamo noi. È vero, siamo nella piena maturità del rock classico, prima che inizi a diventare manierismo, eccesso, a volte autoparodia: e in quell’anno miracoloso escono dischi degli Who, dei Rolling Stones, dei Led Zeppelin, dei Doors.

Ma oggi non parleremo del 1971, su cui magari torneremo più avanti. Il parallelo ci serve per dire che qualcosa di simile – magari in modo meno evidente – avviene all’inizio degli anni ’90. Quando – dopo il decennio della dance, del playback, dei sequencer e delle batterie programmate – nel mondo torna un’inspiegabile voglia di rock, di chitarra-basso e batteria, di musica che si ricollega agli anni d’oro, ma in una forma nuova. E non è solo la musica, è un clima nuovo che pervade tutto il mondo: è il democratico Bill Clinton che nel 1993 diventa presidente degli Stati Uniti succedendo a George Bush; è Nelson Mandela che nel 1994 diventa presidente del Sudafrica; è la Rivoluzione di Velluto in Cecoslovacchia. Il mondo, insomma, sembra finalmente un posto migliore. E la musica sembra sottolinearlo. Volete fare un tuffo in quegli anni? Riguardatevi il film “Singles”, di Cameron Crowe.

Come ai vecchi tempi, i gruppi degli anni ’90 sembrano tenere uniti senza fatica la libertà creativa e il successo, dopo anni in cui quello che si vendeva con facilità era spesso privo di qualità. Per capire di che cosa stiamo parlando, basta pensare ai due colossi di Seattle: che non sono Amazon e Starbucks, ancora da venire, bensì Nirvana e Pearl Jam.

Ma la scena americana è in grande fermento. E fra i tanti gruppi che debuttano a inizio anni ’90 ci sono i protagonisti della nostra storia. Sono i californiani Grant Lee Buffalo. I tre – il cantante/chitarrista Grant Lee Phillips, il bassista Paul Kimble e il batterista Joey Peters – hanno già suonato insieme in un altro gruppo e quindi la loro intesa è perfetta. I brani pescano nella tradizione musicale americana, ma hanno un che di disturbato, di indefinito. Non a caso, il loro primo album si chiama “Fuzzy”, sfocato. E anche il brano che ascoltiamo.

Ascolto Fuzzy.

Era “Fuzzy”, dal primo disco omonimo dei Grant Lee Buffalo, e questa è “Dieci secondi”, ogni giovedì sera su Radio Popolare.

Grant-Lee-Buffalo-Mighty-Joe-Moon

L’album ottiene subito un buon successo. E soprattutto – per usare uno slogan pubblicitario più o meno di quegli anni – “piace alla gente che piace”. Per Michael Stipe, il cantante dei Rem, è di gran lunga il disco dell’anno. E allora che cosa fanno i nostri? Tornano in studio per mettere a punto il loro suono. , acida, quasi scappata fuori da un disco di Neil Young. È così che si apre il secondo album, Mighty Joe Moon. Con un brano che si chiama Lone Star Song, la canzone della stella solitaria, quella che campeggia sulla bandiera del Texas. Ma non il Texas orgoglioso e ribelle della mitologia sudista, bensì quello cupo e tragico in cui si incontrano l’assassinio di John Kennedy e la strage di Waco. Lone Star Song.

Ascolto Lone Star Song.

Era Lone Star Song, dal secondo album dei Grant Lee Buffalo, Mighty Joe Moon, e questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare, il programma dedicato a dieci secondi album.

Eccolo qui, il secondo album dei Grant Lee Buffalo, pupilli della critica musicale e delle rockstar più potenti, dai Rem ai Pearl Jam, che li vorranno ad aprire i loro tour. Niente da dire. Un album perfetto. Un suono originale e riconoscibile, basato sul mix fra strumentazione acustica e l’uso delle chitarre a 12 corde distorte e saturate, vero marchio di fabbrica della band. Una batteria senza mai un virtuosismo, quasi tribale, come se qualcuno avesse consegnato un rullante e due bacchette a uno che passava di lì, e gli avesse chiesto di tenere il tempo. Il virtuosismo dell’anti-virtuosismo. E la voce di Phillips, capace di passare con facilità dai registri caldi e baritonali al falsetto.

E le canzoni, ci sono? Certo. Ci sono potenti brani elettroacustici, come Lone Star Song, che abbiamo ascoltato, e delicatissime ballate. Come Mockingbird, l’unico singolo tratto da questo album, che stazionerà brevemente al 14esimo posto delle classifiche americane. O, meglio ancora, come la più bella ballata dei Grant Lee Buffalo – e forse una delle più belle ballate di sempre. Un gioiellino di meno di tre minuti: di quelli che se non vi viene voglia di correre a dissotterrare la chitarra acustica e a cercare gli accordi su internet, dovete preoccuparvi seriamente. “Amore, non pensare”. “Honey don’t think”.

Ascolto Honey Don’t Think. 2’45”

Era “Honey Don’t Think”, una grande ballata dal secondo album dei Grant Lee Buffalo.

Un album, lo abbiamo detto, senza punti deboli: quello che dovevano fare, i tre musicisti californiani lo hanno fatto. E il successo? Beh, per quello ripassare più avanti. Anzi, non ripassare affatto. Il successo, per i Grant Lee Buffalo, è questo: ottimi riscontri presso la critica, l’ammirazione dei colleghi, come abbiamo detto, l’amore dei fan; ma il boom delle vendite non arriverà mai. Da qui in poi ci saranno altri due album – di minore importanza – e poi il gruppo si scioglierà, per lasciare spazio alle carriere soliste, in particolare quella di Grant Lee Phillips. Del resto non tutti possono diventare i Rem o i Nirvana: cioè mantenere una perfetta integrità artistica e lo stesso soddisfare il gusto di milioni di persone. I Grant Lee Buffalo hanno realizzato le loro idee musicali con grande libertà, e questo non è poco.

E allora ci congediamo da loro con un brano del loro terzo album intitolato Copperopolis – la città di rame. La ricetta non cambia: una base acustica, minimale, le chitarre distorte, la grande voce di Phillips. Non ci sono grandi novità, come vedete. E tuttavia anche qui c’è una gemma nascosta. Una splendida ballata che dice al tuono se può smettere per un secondo, perché lui vorrebbe parlare con lei. Arousing Thunder.

Ascolto “Arousing Thunder”.

Era Arousing Thunder, da Copperopolis, terzo album dei Grant Lee Buffalo. Questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

E i nostri eroi, che fine hanno fatto? I Grant Lee Buffalo si scioglieranno definitivamente nel 1998, dopo un quarto disco intitolato Jubilee, lasciando uno splendido ricordo nel cuore degli appassionati: se la definizione di “band di culto” ha un senso, questa è una buona occasione per usarla.

Ma, come sapete, a “Dieci secondi” piacciono le storie a lieto fine. E la storia di questo piccolo grande gruppo non finisce del tutto: come era prevedibile, è Grant Lee Phillips, cantante e compositore, a raccogliere il suo stesso testimone e ad avviare una carriera solista disseminata di buoni album, ovviamente – ormai lo abbiamo capito – rivolti a un pubblico fedele di appassionati che non gli fa mai mancare il supporto e al tempo stesso esclude qualsiasi ipotesi di successo di massa.

Una striscia di album – otto o nove – che ci porta al fino 2016. La ricetta è la stessa: Grant Lee Phillips, le sue belle canzoni, un bassista e un batterista poco invadenti. Il cantante si è spostato in Tennessee, lo stato di Nashville che gli americani riconoscono come capitale della musica (il soprannome della città è “Music city USA“), quasi volesse andare ancora più vicino alle radici, sue e della sua musica.

Il risultato è The Narrow, del 2016. Il brano che ascoltiamo è il racconto doloroso di un viaggio attraverso gli Stati Uniti: parla di mani in catene, di marce forzate. “Gente che diceva che ero senza Dio, gente che voleva insegnarmi a pregare, gente con una penna e un fucile, gente che mi ha portato via tutto”. Grant Lee Phillips ha origini native, delle nazioni Creek e Cherokee, e non rinuncia a raccontarci un’America diversa, certamente meno luccicante rispetto all’iconografia di Nashville, sempre tristemente attuale. Un’America che fa piangere. E il brano si chiama “Cry, cry”.

Ascolto “Cry, cry” .

Era “Cry, cry”, dall’ultimo album di Grant Lee Phillips, The Narrows, datato 2016.

E su queste note, sulla bella voce di Grant Lee Phillips che qui gioca un po’ a fare Elvis – o almeno Chris Isaak – si conclude la quinta puntata di “Dieci Secondi”, dedicata ai Grant Lee Buffalo e al loro secondo disco, “Mighty Joe Moon”, decisamente promosso. Se volete commentare potete scrivermi su Twitter, all’account LucaVillani.

L’appuntamento, intanto, è per giovedì prossimo e per la sesta puntata di “Dieci Secondi”. Una puntata nella quale faremo i conti con un vero mostro sacro e con il suo secondo album: nientemeno che il longevo sovrano regnante del rock americano: Bruce Springsteen