Politica

I “due Mattei” non sono uguali

15 Ottobre 2019

Espresso-Renzi-SalviniVedo sui social grande sarcasmo e – nella migliore delle ipotesi – sufficienza a proposito del confronto televisivo Renzi-Salvini in programma questa sera.

È vero, il Salvini cacciato fuori dal ministero e pertanto depotenziato delle sue armi social (che adesso si deve pagare da solo) fa un po’ meno paura, ma è pur sempre il leader di quello che i sondaggi stimano come il primo partito italiano. Così come Renzi è un po’ meno Renzi di quando governava con il vento in poppa, certo: ma è pur sempre il politico che – mentre noi prendevamo il sole – ha fatto nascere un governo e un partito e ha provvisoriamente tolto a Salvini e Morisi le chiavi della cassaforte.

Ma non è solo un problema di ridotta centralità dei due leader (che poi: siamo sicuri?). Quello che vedo è, più che la presunta indifferenza, la tesi liquidatoria per cui in fondo “i due Mattei” sono uguali: due leader bellicosi e un po’ sbruffoni che simmetricamente si equivalgono.

È una tesi che viene da lontano, e implicherebbe un discorso lungo. È, in sintesi, l’idea – stalinista – che il riformista, il liberale, persino il socialdemocratico sia in fondo una variante meglio agghindata del fascista, e pertanto ancora più pericolosa. È la tesi della copertina dell’Espresso di qualche settimana fa, uno dei punti più bassi della storia del giornalismo italiano (se si può ancora chiamare giornalismo una simile operazione di faziosità: forse no). È la tesi per cui il leader del governo che probabilmente ha fatto il maggior numero di riforme economiche e sociali della storia italiana incluso un aumento vertiginoso dei posti di lavoro (leader che può legittimamente non piacere, sia chiaro, ma resta quello che è e quello che ha fatto) sia “uguale” a uno che si fa fotografare con ultras omicidi e neonazisti conclamati (da cui avrebbe dovuto difenderci, in quanto ministro degli Interni), che giustifica le stragi in mare e che – soprattutto – non ha fatto niente che non fosse mentire, alimentare la paura, sabotare l’economia e peggiorare le condizioni di vita del suo elettorato.

È una reazione populista (“sono tutti uguali”), ma di un populismo diverso da quello degli analfabeti funzionali che rilanciano le fake news putiniane senza leggerle e comunque senza capirle. È un populismo “colto”, snob, che si crede di sinistra e ritiene di essere in possesso degli strumenti per giudicare, assolvere, condannare. È un populismo che si crede di sinistra e in fondo è profondamente antidemocratico (stalinista, appunto), perché abolisce le differenze, odia i fatti, sopprime le sfumature. Ed è di questo – dell’abolizione dei fatti e delle sfumature, in favore dei pregiudizi e della propaganda – che i vari fascismi si nutrono tuttora.

Non so se stasera guarderò il confronto in tv fra Renzi e Salvini (vedere Bruno Vespa resta un deterrente serio), ed è chiaro che non sia quello il punto. Ma la smorfietta di superiorità con cui qualcuno non lo guarderà mi fa più paura di Salvini.