Economia

Scusi, dov’è l’austerità?

31 Maggio 2013

“Scusi, dov’è il West?” (in originale “The Frisco kid”) è il titolo di un film del 1979, un western surreale con Gene Wilder e Harrison Ford. Non meno surreale mi sembra il dibattito degli ultimi giorni sull’austerità, anzi, sulla necessità di porre fine alle politiche di austerità per concentrarsi sulla crescita.

FriscoKid

Specialmente ora che l’Unione Europea ha posto fine alla procedura di infrazione sul deficit italiano, rivolgendo tuttavia allo stesso tempo un’imponente serie di raccomandazioni (il nostro debito è ancora altissimo) che non consentono – se prese sul serio – di abbassare la guardia per un solo istante: altro che “tesoretto” da spendere, qui c’è da lavorare ancora un bel po’.

In Italia, però, siamo maestri nel far diventare vere cose false semplicemente ripetendole diverse volte, in modo disinformato o disonesto a seconda dei casi e delle convenienze: spesso le due cose si combinano con successo quando un disonesto innesca il tormentone e numerosi disinformati lo ripetono convinti di perorare chissà quale verità. Credo che non serva fare esempi di questo metodo e dei suoi campioni.

Orbene. Adesso il problema è che ci sarebbe troppa austerità e quindi – dicevamo – è ora di finirla. Ah sì? E dove sarebbe tutta questa austerità? Non solo io non la vedo, ma nemmeno i numeri ufficiali sembrano rilevarla. Nell’indifferenza più totale, infatti, la Banca d’Italia ha pubblicato pochi giorni fa i dati sull’andamento del debito pubblico nel primo trimestre. Sarà diminuito, con tutta questa austerità, immaginiamo tutti. No. È aumentato. Ma va? Ma sì. Non solo in relazione al Pil (130%), ma anche in valore assoluto: 17 miliardi di euro in più rispetto a un anno prima, che ci portano a quasi 2.035 miliardi di stock (record!). E se consideriamo che le entrate fiscali sono aumentate dello 0,79% rispetto al primo trimestre del 2012 (e che gli interessi sul debito sono enormemente scesi da quanto Mario Monti ereditò uno spread “greco”), che cosa sarà successo? Cucù: sono aumentate le spese. Pochissimo quelle degli enti locali, parecchio quelle dello Stato.

Bancad'Italia

Capite? In tutto questo parlare (male) dell’austerità, ci si è totalmente dimenticati di chiudere la porta. E i nostri soldi continuano a uscire. L’argomento dei neo-keynesiani de noantri è il seguente: il rigore di bilancio frena l’economia, quindi si generano meno entrate, quindi il debito aumenta in rapporto al Pil. Ma – a me sembra – qui non ci troviamo in questa fattispecie, dal momento che il debito aumenta in valore assoluto malgrado siano aumentate le entrate fiscali.

Non sono un economista e non voglio addentrarmi in un ragionamento tecnico. Mi pare, tuttavia, che il dibattito sia – ancora una volta – poco ancorato alla realtà. Da un lato ci si lamenta dell’austerità, però il debito cresce. Dall’altro, sembra che l’unica leva attivabile sia quella delle entrate, mai delle uscite. Fateci caso, è tutto un bilanciare tasse fra loro “a saldi invariati”: per restituire l’Imu (pericolosa follia) bisogna alzare l’Iva. Per non alzare l’Iva, naturalmente, bisogna mettere una patrimoniale. E così via. E i tagli?

Le Province non sono state abolite. Il finanziamento ai partiti (che peraltro era stato abolito con un referendum, quindi qualcuno ci deve spiegare che cosa è successo nel frattempo, se ora dobbiamo abolirlo di nuovo) verrà forse faticosamente ridotto in tre anni. Dei 18mila dipendenti della Regione Sicilia (con un dirigente ogni sette) contro i 3mila della Regione Lombardia (un dirigente ogni 14, che pure è un rapporto altissimo: qualcuno è al corrente di un’azienda privata con un dirigente ogni 14 dipendenti?), quanti sono stati licenziati? Come va con i finanziamenti ai giornali? E il famoso costo di una siringa, che varia da Nord a Sud senza criterio apparente? Si potrebbe continuare: diciamo che di tutti questi provvedimenti si parla molto, ma si è fatto pochissimo.

Tasse, quindi. Mancano soldi? Una nuova tassa. E sì che ne abbiamo di fantasiose: quando il mio commercialista mi ha spiegato per la prima volta l’Irap ho pensato che non fosse possibile pagare le tasse sul costo del lavoro e ho temuto di essermi affidato a un professionista che non conosce le leggi. Poi ho verificato e ho temuto molto di più per essermi affidato a uno Stato che crea (e mantiene in vigore) una simile imposta, che disincentiva la creazione di posti di lavoro.

PadoaSchioppa

Insomma: quando l’allora ministro Tommaso Padoa-Schioppa ha detto che “le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute”, io – a differenza di Fabrizio Cicchitto, che all’epoca stigmatizzò con asprezza – ho capito e condiviso perfettamente. Le tasse rappresentano l’idea della comunità, l’homo sapiens che si afferma sull’uomo di Neanderthal (Cicchitto si identifica con tutta evidenza con l’uomo di Neanderthal) perché alla lotta individuale per la sopravvivenza capisce che deve affiancare il principio di solidarietà, di protezione del gruppo e non solo del singolo.

NeanderthalVsSapiens

Però, cari colleghi sapiens, c’è un limite. Cosa facciamo quando nella nostra famiglia le spese superano le entrate (e non siamo eredi di una grande fortuna da dilapidare)? Semplice: fissiamo le spese sulla base delle disponibilità. Ecco: io credo che uno Stato civile non possa continuamente alzare la pressione fiscale perché non ha il coraggio di fare i conti in casa propria. Credo che le tasse siano bellissime se proporzionate. Con la nostra pressione fiscale al 55% siamo primi (o, meglio, ultimi) al mondo e nessuno lavora volentieri se sa di dover dare 1,1 euro su due a non si sa bene chi e per cosa (negli ospedali e fuori ci sono molti angoli poco illuminati).

Mi piacerebbe una modifica costituzionale che fissasse un limite ex-ante alla pressione fiscale: una soglia eticamente giusta che unisca il doveroso contributo al bene pubblico con il sacrosanto diritto a farsi un mazzo così nell’assoluta certezza che non serva ad acquistare i fuoristrada di Fiorito. Un prelievo massimo, quindi un budget massimo da spendere (sarebbe ancora meglio mettere da parte qualcosina ogni mese: chiamasi “avanzo primario”).

Come facciamo noi, come fanno le famiglie normali. Quando ci riescono.