Dieci Secondi - Anno 2, puntata 8

The Style Council: Our Favourite Shop

12 Giugno 2018

Se vogliamo prenderla alla larga, la nostra storia di oggi parte poco dopo la metà degli anni ’70. Non è una novità: tanti degli artisti di cui abbiamo parlato a Dieci Secondi si sono formati in quel periodo caotico e fertile, in cui tutto ciò che era nuovo veniva definito “punk” e “new wave”. Salvo poi distinguere caso per caso e scoprire che in quel gran pentolone ci erano finiti, solo per citare tre nomi di cui abbiamo parlato qui a Dieci Secondi, i Police, i Dire Straits e Tom Petty.

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Il gruppo di cui stiamo parlando, pubblica il suo primo album proprio nel 1977. È un gruppo punk? Sì e no. Sì, per l’energia, la velocità, l’immediatezza, lo spirito di ribellione generazionale. No, per la ricchezza delle influenze, che pescano nel rock inglese degli anni ’60, nel rhythm’n’blues di scuola Motown e soprattutto nel movimento Mod e negli Who. E con quest’ultimo suggerimento avrete capito che stiamo parlando dei Jam, il gruppo guidato da un giovanissimo Paul Weller che colpisce al volto l’Inghilterra con un album intitolato “In The City”.  Da cui ascoltiamo proprio il brano omonimo: 2 minuti e 19 secondi di romantico idealismo giovanile. E, forse, di punk. In The City.

Ascolto In The City.

Era “In The City”, dall’album d’esordio omonimo dei Jam. Questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

Ma – sorpresa – non è dei pur meritevoli Jam che vogliamo parlare oggi. Bensì della seconda vita del leader Paul Weller, cantante e chitarrista nato nel 1958 a Woking, cittadina a sud-ovest di Londra nota per la presenza della McLaren. Nel 1982, cinque anni, sette album e molti successi dopo il loro esordio, i Jam sono il gruppo più importante del Regno Unito, ma a Weller non bastano più. Alla sua passione per il soul e il rhythm’n’blues, il formato del trio chitarra-basso-batteria va stretto. E allora congeda i compagni e stringe un nuovo sodalizio con il tastierista di un gruppo neo-mod, i Merton Parkas, di nome Mick Talbot. Sono nati gli Style Council.

Gli Style Council sono per molti versi l’opposto dei Jam. Tanto il primo gruppo era un trio compatto, essenziale ed elettrico – nel suono e nell’atteggiamento – così il nuovo progetto è dandy, compassato, a tratti elettronico. E poi non è neppure un vero gruppo, visto che a farne parte stabilmente sono Weller e Talbot, accompagnati dal giovane talento della batteria Steve White, e dalla bellissima cantante (e poi fidanzata, e poi moglie, e poi ex-moglie, di Weller), Dee C Lee. All’occorrenza, si serviranno di musicisti ospiti dai nomi prestigiosi, come ad esempio Ben Watt e Tracey Thorn degli Everything But The Girl. Attenzione, però: i ragazzi sono sì stilosi e alla moda (lo dice il nome stesso che si sono scelti), ma non sono affatto superficiali. Anzi: Paul Weller è un musicista molto impegnato in politica (sono gli anni di Margaret Thatcher, occorre ricordarlo, e la scena musicale inglese è in gran parte schierata contro la Lady di ferro). I suoi testi sono forti ed espliciti: come quando, in un brano, dice letteralmente che “i duchi penzoleranno dagli alberi genealogici”, con un bel gioco di parole, certo, anche se un po’ giustizialista. E allora, di questo primo album degli Style Council, Cafè Bleu, noi scegliamo la versione “privata”. E ascoltiamo il secondo singolo, una bellissima ballata romantica: sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. “You’re the best thing”.

Ascolto You’re The Best Thing.

Era You’re The Best Thing, da “Cafe Bleu”, primo album degli Style Council. E questa è “Dieci Secondi”, su Radio Popolare.

Cafe Bleu è un bell’album che unisce jazz, pop, r’n’b e quello che una volta si chiamava “blue eyed soul”. In un’intervista, Paul disse di avere scelto Mick Talbot come compagno di viaggio “perché condivideva il suo odio per il mito e la cultura del rock”. Nientemeno. Come che sia, l’album funziona molto bene nel Regno Unito, dove arriva al secondo posto in classifica, mentre negli Usa il successo non è nemmeno paragonabile, a parte per il singolo My Ever Changing Mood, che infatti dà il titolo alla versione americana dell’album.

StyleCouncil_OurFavouriteShop

Gli Style Council, in effetti, sono un gruppo così inglese, così pieno di riferimenti alla cultura, al costume e alla politica inglese, da risultare poco comprensibili al di fuori dei confini nazionali. La conferma è proprio il secondo album, intitolato “Our Favourite Shop”, il nostro negozio preferito. La copertina è la rappresentazione plastica di questa cultura inglese, per non dire londinese: Weller e Talbot sono ritratti in quello che sembra essere un vero negozio di vestiti, ma dove non mancano icone come una chitarra Rickenbacker, una maglia da ciclismo con i marchi Raleigh e Campagnolo, un manifesto dei Beatles e altri oggetti di culto sparsi qua e là; e i risultati commerciali vanno di conseguenza: Our Favourite Shop è primo in Inghilterra, dove scalza dal primo posto la corazzata Dire Straits; mentre è solo 123esimo in America.

Our Favourite Shop è un album ancora più politico del precedente. E allora ascoltiamo subito uno dei brani più espliciti, e per certi versi chiaroveggenti: i muri cadono. Walls Come Tumbling Down.

Ascolto Walls Come Tumbling Down.

Era Walls Come Tumbling Down, dal secondo album in studio degli Style Council. E questa è 10 Secondi su Radio Popolare.

“Lo vuoi capire che la guerra di classe è vera e non un mito? – e come a Gerico le mura cadranno”. E così, fra citazioni bibliche e laburismo inglese, con qualche ingenuità e tanta buona fede, gli Style Council enunciano de facto il manifesto di quel movimento che si chiamava Red Wedge (cuneo rosso), un gruppo di musicisti che si opponeva alle politiche della signora Thatcher. Ma intanto anche la musica è cresciuta: il batterista Steve White qui – lo avete sentito – è all’apice della forma; e tutta la macchina musicale, fatta di organo Hammond, fiati e cori, funziona ancora meglio dei testi, pur generosi e ispirati.

E se Walls Come Tumbling Down è una travolgente cavalcata soul, esposta a un lieve rischio di retorica, Homebreakers (distruttori di case) ne rappresenta la versione più essenziale: uno spaccato, mille volte più struggente e credibile, di fatica quotidiana, di disoccupazione, di famiglie che si devono separare per trovare lavoro lontano da casa. Un brano che non a caso inizia con il sottofondo degli annunci della stazione, dove avvengono gli addii. “Ora le nostre lacrime cadono come pioggia – canta Paul Weller nel verso più toccante del brano – mentre mia madre mi accompagna al treno: con un bacio e un saluto ‘Torna a casa nei weekend’, ‘Sì, se riesco a risparmiare’”. Homebreakers.

Ascolto Homebreakers.

Era Homebreakers, il brano che apre Our Favourite Shop. E questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

Questo disco, e questo brano in particolare, rappresentano il punto più alto mai raggiunto dagli Style Council sia musicalmente che dal punto di vista del contenuto. Un livello difficile da mantenere, in tutti i sensi. “Eravamo molto coinvolti con la politica – dirà in seguito Weller in un intervista al sito canadese Jam – credo che alla fine abbia fatto ombra alla musica”.

Tecnicamente la carriera del gruppo non finisce qui: ci saranno ancora un paio di dischi, rispettivamente nelll’87 e nell’88. Ma in realtà gli album successivi aggiungeranno pochissimo – anzi, al limite toglieranno – al blasone di Weller e Talbot. In particolare l’ultimo album, dal titolo rivelatore “Confessions of a pop group”, sarà un tale fallimento da lasciare Paul Weller – detto The Modfather, il padrino della scena musicale inglese – senza un contratto discografico per la prima volta da quando ha 18 anni. Insomma, gli Style Council sono stati una bellissima meteora, perfettamente rappresentativa del clima musicale e politico degli anni ’80 in Inghilterra. E il loro secondo album ha incarnato questo spirito come meglio non si poteva.

Ma la storia musicale di Paul ripartirà presto, con una carriera solista che finora ha partorito oltre dieci dischi, senza contare i live, che non è ancora finita, e che si avvia a diventare una delle più longeve del rock inglese, con trent’anni già dietro le spalle. Dischi, quelli del Weller solista, improntati alla ricomposizione delle sue due anime, che aveva artificiosamente separato: quella rock, che a un certo punto – ricordate? – aveva affermato di odiare, e quella soul. Con che risultati? Eccellenti, si direbbe.

Noi, allora concludiamo con un bel brano di Paul Weller, pescando proprio dal suo secondo album (così facciamo una puntata di Dieci Secondi che vale per due): quel Wild Wood del 1993, tuttora considerato il suo capolavoro, di cui sono debitori dichiarati molti gruppi inglesi degli anni ’90. Si tratta del brano di apertura e secondo singolo dell’album: album che di nuovo arriverà alla seconda posizione in classifica nel Regno Unito, riportando Weller al suo ruolo naturale di guida spirituale del rock inglese. Un brano che parla proprio della sua ispirazione. Il mio fuoco si è spento? Has My Fire Really Gone Out? Naturalmente no, caro vecchio Paul.

Ascolto Has My Fire Really Gone Out?.

Era Has My Fire Really Gone Out?, il brano che apre Wild Wood, uno dei migliori album solisti di Paul Weller.

E intanto noi abbiamo terminato questa puntata di Dieci Secondi. Appuntamento a sabato prossimo, sempre alle 17, sempre su Radio Popolare, sempre con la regia di Niccolò Vecchia. Dopo questa puntata così inglese attraverseremo l’Atlantico per occuparci di uno dei migliori gruppi americani del momento: i Decemberists. Da Luca Villani, un saluto e buoni ascolti.