Chi si rivede

Come funziona la digital reputation (spiegato da Kakà)

27 Marzo 2021

Giovedì 4 marzo, mentre pranzavo, uno sconosciuto (benemerito) mi ha scritto un messaggio su Instagram, che fra l’altro è un social media che io uso pochissimo: “Penso che ti possa far piacere che ti segnalo il post”. In allegato c’era una cosa che inizialmente non ho capito. Anzi. Inizialmente non ho capito niente: pensavo che questo sconosciuto (Marco) avesse segnalato un mio post (ma quale? E perché?). “Ciao, grazie – gli ho risposto. – Ma dove lo hai segnalato?”. E lui: “Kakà nelle sue storie”.

Kakà? Kakà quello vero? “Yes”, ha risposto Marco, che poi ho scoperto essere interista, ma che saluto comunque con affetto.

In effetti il suo messaggio conteneva un link a una “storia” di Kakà, nel quale io ero citato, anzi, di cui ero in qualche modo l’autore. Siccome so che non ci credete, la storia è questa.

Kakà_Insta_Luca_Villani

Ma la storia dietro la storia? Eccola, se avete due minuti.

La frase che leggete l’ho effettivamente scritta io: originariamente nel 2009, in un lungo post sul senso del calcio e della vita partendo dalle manifestazioni di piazza per impedire al Milan di vendere Kakà al Manchester City, composto per un blog collettivo di calcio nel quale mi aveva coinvolto il mio amico Massimiliano. Il blog – a quanto vedo – ha avuto vita breve ma intensa da fine 2008 a inizio 2010: il mio pezzo c’è ancora, ma il mio exploit autoriale non aveva avuto seguito, non so se per mancato gradimento o per cessata attività. Ma nel 2013 io avevo un MIO blog (questo dove ci troviamo adesso) e nel frattempo Kakà era tornato a Milano, e pertanto avevo ripubblicato quel post con una breve introduzione. Quindi per me la storia si conclude lì, nel 2013, con un post peraltro “usato”, che aveva suscitato una manciata di like da parte di qualche amico compiacente.

Ora però siamo nel 2021 e la frase di chiusura di quel post torna fuori – apparentemente stampata su carta: da chi? – sul profilo Instagram di un giovanotto brasiliano che ha un Pallone d’Oro sullo scaffale di casa e 17,2 milioni di follower. Che cosa è successo nel frattempo? Boh.

Quel giorno faccio qualche screenshot della storia, che in quanto tale rimarrà visibile solo per 24 ore, lo spedisco a qualche amico e parto in moto. Mentre guido sulla Milano-Meda sento il telefono vibrare di messaggi su Whatsapp, ma naturalmente non posso controllare.

Quando posso tornare a collegarmi alla Rete senza rischiare un grave incidente, leggo i messaggi e scopro che due amici – praticamente in contemporanea – hanno individuato uno dei tasselli mancanti: la mia frase è stata effettivamente stampata su un libro del giornalista-tifoso Carlo Pellegatti, intitolato “Favole portafortuna per tifosi milanisti da 0 a 99 anni”. Non solo: la frase del vostro affezionatissimo sarebbe addirittura posta a chiusura del libro, come una sorta di epigrafe che tutto racchiude. Io, naturalmente, non ne sapevo niente e ancora non so come l’autore, mio idolo giovanile quando trasmetteva i suoi visionari soprannomi come “Cuore di Drago” (Maldini) e “L’Immensità che Diventa Regola” (Baresi), da emittenti radiofoniche minori, sia capitato sul mio – marginalissimo – blog.

PaginaLibro

Quindi, penso, Pellegatti avrà scritto il libro, l’avrà fatto avere a Kakà e lui per ringraziarlo ha pubblicato la storia su Instagram. Ma no, non è andata neanche così.

Anche perché il libro è del 2017: come mai salta fuori proprio adesso? La risposta la scopro il giorno successivo, curiosando sul profilo Instagram di Pellegatti. Accade infatti che nell’attesa di Milan-Udinese del 3 marzo (peraltro una pessima partita, pareggiata in extremis grazie a un rigore regalato non dall’arbitro ma da un surreale fallo di mano di Stryger Larsen), il suddetto Pellegatti pubblichi la pagina sopra citata del suo libro, accompagnandola con il commento “Sempre brividi quando leggo queste righe che sono l’essenza dell’essere tifoso milanista! Fra poco in campo… [eccetera]”. (“Queste righe”, che ho scritto io, sono l’essenza. E vabbè: grazie, Carlo).

PellegattiInsta

Quindi quello che immagino è che Kakà (ok, realisticamente uno dei suoi dieci social media manager, ma lasciatemi credere che sia stato lui, in persona) abbia visto il post di Pellegatti e lo abbia trasformato in una storia, con l’aggiunta originale dei due cuoricini rossoneri che avete visto poco fa.

Perché vi racconto questa storia? Per due motivi.

Il primo, e più ovvio, è per vantarmi della mia fiammata di popolarità digitale, durata più o meno mezza giornata ma molto divertente, specie pensando agli amici di mio figlio che si rifiutavano di accettare l’idea che l’anonimo padre di un loro amico avesse in qualche modo un filo diretto con Kakà, e cercavano su internet altri Luca Villani più plausibilmente famosi. No, raga, mi spiace ma ero io.

Il secondo è un po’ più serio, e riguarda il lavoro che faccio (la comunicazione). Il mio blog – non lo dico per falsa modestia – è davvero poco conosciuto, è un passatempo personale, non è nemmeno specializzato sul Milan e neppure sul calcio, anzi, parla di argomenti disparati (infatti si chiama I Love Everything), è quasi un insuccesso studiato a tavolino, infrange ogni legge della Seo ed è, per tutte queste ragioni, decisamente fuori dalle rotte principali del web. Ma questo non fa che aggiungere fascino alla vicenda: perché questo episodio apparentemente frivolo ci ricorda che quello che mettiamo in Rete rimane in Rete, nelle profondità inconoscibili della Rete e, nel bene o nel male, affiora improvvisamente quando meno ce lo aspettiamo. Che, malgrado tutte le più raffinate tecniche di digital marketing, o meglio accanto ad esse, esiste un aspetto carsico del web, che poi non è neppure tanto misterioso: tu pubblichi cose, le persone le leggono. Anche molto tempo dopo. Sarà sempre più così. È così per chi si occupa di selezione del personale, è così per chi cerca un professionista o un fornitore cui affidare un incarico. È così – attenzione – anche al contrario: nel senso che potrebbe essere un brillante neolaureato a fare il contropelo a quello che un’azienda, un manager, un master scrivono o non scrivono sui propri media digitali, e scegliere anche sulla base del suo gradimento per quello che legge.

Per questo bisogna mettere molta cura in quello che scriviamo, e questo vale sia per le persone che per le aziende, peraltro inestricabili le une dalle altre quando si parla di reputazione nel mondo del business. Quello che pubblichiamo sui siti, sui blog, sui social può non dare i risultati sperati nel breve periodo, ma contribuisce a costruire qualcosa di molto più profondo duraturo, che – strato dopo strato – diventa la nostra proiezione digitale, l’immagine che gli altri avranno di noi, la cosa che Google, giudice di ultima istanza dei nostri destini, troverà una volta compulsato (e non necessariamente compulsato su di noi).

Per questo mi sorprende e mi dispiace la superficialità cieca e un po’ snobistica (“ah, io i social proprio…”) con cui la maggioranza delle aziende e dei manager italiani ancora affronta il tema della reputazione digitale, non valutando in alcun modo l’effetto di una comunicazione accurata sul prezzo finale della loro prestazione.

Insomma: comunicate bene, con passione e attenzione, o fatelo fare a chi può farlo per voi. I risultati arriveranno, anche se non sempre si può prevedere quando e da dove.

E se non credete a me, credete almeno a Kakà.

EDIT – 7 maggio 2021

Mancava un tassello, in questa storia. Come ha fatto Carlo Pellegatti a trovare il mio blog? Dice che ha cercato su Google. Beh, vi confido una cosa che ho scoperto recentemente. Se scrivete su Google “Kakà finestre” (al plurale: boh) il mio blog è il primo risultato (Repubblica, scansati). E comunque se scrivete “Kakà finestra” (al singolare) è pur sempre il secondo, dopo Sky, che avrà investito due euro più di me. Perché? Non lo so. Sta a vedere che sono un genio della SEO. In ogni caso questo è il web “carsico” che piace a me.

E comunque. Dopo un lungo inseguimento ho avuto il numero di telefono di Pellegatti (mi perdonerete se non svelo la fonte, che ringrazio moltissimo). Al mio primo messaggio ha risposto “Spero che adesso tua moglie venga in curva con te, anzi, con noi“. No, Carlo, ma in compenso ho tirato su un figlio fanatico quasi più di me e di te.

E finalmente eccoci riuniti (mancherebbe Kakà, sostituito temporaneamente da Giacomo, che per coerenza storica indossa un capo del precedente sponsor tecnico)

Qualche giorno dopo ci siamo visti, in un luogo improbabile e affascinante come l’Ippodromo della Maura, a Milano, in zona San Siro, dove Carlo si muove con disinvoltura (credo che i cavalli siano la sua seconda passione, se non la prima). Abbiamo chiacchierato, abbiamo fatto qualche foto, mi ha scritto una dedica bellissima (“Poeta rossonero“, detto dall’uomo che ha definito Franco Baresi “l’immensità che diventa regola”), in cui non ha dimenticato mia moglie. Mi ha detto persino che userà la mia frase anche in un altro libro, “per ragazzi“.

Bravo Carlo, tiriamoli su bene fin da giovani. Hai tutta la mia disponibilità.