Dieci Secondi - Anno 1, puntata 4

Cream: Disraeli Gears

8 Aprile 2018

Dieci Secondi – Anno 1, puntata 4 – 9 febbraio 2017

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Anche se adesso, con quell’aria da tranquillo pensionato benestante, voi non lo direste, c’è stato un momento in cui Eric Clapton era il personaggio più ricercato, più cool, più affascinante della scena musicale mondiale. E se non vi fidate di me, vi fiderete – spero – di Jimi Hendrix, uno che a sua volta ha rappresentato un concentrato di fascino che non si è mai più visto nella storia. Il quale Hendrix a Chas Chandler, il bassista degli Animals divenuto produttore che lo ha scoperto e vuole portarlo in Inghilterra, pone una sola condizione: “Conosci Eric Clapton? Me lo presenti?”. Ok, affare fatto. Si parte. I due, fra l’altro, si incontrano davvero, subito, appena Hendrix sbarca a Londra, e si piacciono molto.

cream

Il prestigio di Clapton non è legato solo al suo modo di suonare la chitarra. A fare di lui un mito, e non solo un chitarrista molto ammirato, è – a mio avviso – anche il suo talento, ancora poco studiato, nelle uscite di scena. Come in Borsa la cosa difficile non è comprare, ma vendere al momento buono, così Clapton si specializza nell’andarsene: per motivazioni solo sue, a volte ciniche, a volte ingenue, sempre imprevedibili. E così, nel 1966, a soli 21 anni, ha già suonato negli Yardbirds e nei Bluesbreakers di John Mayall, l’università del blues bianco, in quel momento il genere musicale di riferimento per tutti. Cioè ha già alle spalle quella che per molti musicisti sarebbe un’ottima carriera. E se ne è sempre andato lui, al picco del successo.

Con i Bluesbreakers, in particolare, Clapton definisce il suono e il ruolo della chitarra solista nel rock, con cui generazioni di musicisti hanno fatto – e fanno tuttora – i conti. “Quello che si può fare con una Gibson Les Paul e un amplificatore Marshall, lo ha fatto Clapton in Bluesbreakers: il resto è ripetizione”, ha detto Jimmy Page, che è Jimmy Page. E allora ascoltiamolo, questo suono definitivo. Il brano si chiama “Double Crossing Time”, il momento dell’inganno, dall’album Bluesbreakers di John Mayall.

Ascolto Double Crossing Time.

Era Double Crossing Time, dall’album Bluesbreakers. E questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

Questo, dicevamo, è Eric Clapton nel 1966: un ragazzino bianco di 21 anni che suona come se il blues per lui non avesse segreti, guadagnandosi l’approvazione dei maestri neri americani. E, mentre questo disco esce nei negozi, Clapton – indovinate un po’ – è già altrove. Sta, per la precisione, fondando i Cream.

I Cream sono uno di quei gruppi che – pur con una carriera relativamente breve – hanno avuto un impatto incalcolabile sulla storia della musica. Sono stati il primo “supergruppo”, cioè un gruppo formato da musicisti già famosi. Hanno creato il formato del power trio, cioè tre soli musicisti – tipicamente chitarrista, bassista e batterista – ma dal grande impatto sonoro. Ma, soprattutto, hanno fatto fare un salto in avanti a tutto: la tecnica musicale, la durata dei brani, la lunghezza degli assoli, il volume.

Nel primo album, intitolato Fresh Cream, convivono ancora due mondi: c’è qualche brano blues tradizionale, ma si capisce che i tre musicisti (oltre a Clapton, il bassista scozzese Jack Bruce e il batterista Peter Baker, detto Ginger perché ha i capelli rossi), i tre musicisti – dicevamo – vogliono sentirsi liberi: liberi di andare avanti, di comporre, di sperimentare. E così il secondo singolo dell’album, molto opportunamente, si intitola “I Feel Free”.

Ascolto I Feel Free.

Era I Feel Free, dal secondo album dei Cream, Fresh Cream, e questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare, il programma dedicato a dieci secondi album.

E allora arriviamoci, al secondo album dei Cream. Perché Fresh Cream, lo abbiamo detto, è un album ancora incompiuto, con ingredienti interessanti ma non bene amalgamati in una vera ricetta. Del resto in pochi mesi il gruppo ha dovuto costituirsi, mettere insieme un repertorio, provare, registrare, firmare contratti, inventarsi un genere. E allora è chiaro che l’appuntamento è rimandato e che, forse mai come questa volta, il secondo album sarà quello della verità.

Il secondo album arriverà un anno dopo, e sarà un trionfo: il trionfo dell’hard rock psichedelico dei Cream, non migliorabile e non migliorato. Dalla copertina, ai titoli, tutto è surreale, tutto sembra visto attraverso un caleidoscopio o – a voler essere meno benevoli – attraverso il filtro delle sostanze allucinogene, che iniziano a circolare copiosamente nell’ambiente.

Disraeli GearsMa questa volta i tre hanno avuto tempo per comporre i brani e per mettere a punto alla perfezione il loro suono. E allora l’album, che si intitola Disraeli Gears (un pasticcio intraducibile frutto della confusione fra Disraeli, un primo ministro inglese dell’800) e il deragliatore, ovvero una parte del cambio della bici da corsa, si apre così: con un brano che prende il blues e lo fonde con tutto quello che i Cream hanno imparato a fare nel frattempo. Ancora una volta, dopo I Feel Free, un titolo programmatico: “Strange Brew“, strano miscuglio.

Ascolto Strange Brew.

Era “Strange Brew”, il brano che apre il secondo album dei Cream. E che secondo album! Tutto funziona a meraviglia: certo, anche qui c’è qualche riempitivo. Ma la maggioranza del materiale musicale è di primissimo ordine e la tecnica musicale di Clapton e soci è al servizio di un’idea artistica ben precisa: a differenza di quanto accadrà dal vivo, i brani sono brevi (il più lungo dura 4 minuti e 13), ben arrangiati, concisi, eppure pieni di colore, di sorprese, di novità.

La capacità di fondere suoni, parole, immagini in un unico gesto artistico, tocca la sua vetta sulla seconda facciata dell’album, con un brano dal titolo impronunciabile: s, w, l, a, b, r, un acronimo che sta per “She Was Like a Bearded Rainbow”. Il concetto è semplice: sembravi perfetta, così pura e appassionata, ma anche tu avevi un difetto: è un classico del blues e del rock, la classica canzone sulla delusione, sull’aspettativa tradita. Ma da qui a definire una donna “un arcobaleno con la barba”, quasi un’immagine surrealista alla Dalì, ce ne vuole. E a creare questa immagine concorre anche la chitarra di Clapton con quel suono che – non a caso – è stato definito “woman tone”, cioè voce femminile; quasi come se rappresentasse la voce – un po’ petulante – della protagonista del brano.

Basta parlare. Ascoltiamola: “She Was Like a Bearded Rainbow”.

Ascolto SWLABR.

Era “SWLABR”, da Disraeli Gears, il secondo album dei Cream. Questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

Qui siamo in presenza del secondo album “ideale”: quello che prende gli spunti dell’esordio e li fa maturare: un equilibrio perfetto di qualità dei brani, arrangiamenti, tecnica. La carriera dei Cream sarà breve: l’anno successivo il doppio album Wheels Of Fire (metà in studio, metà dal vivo) e poi – nel 1969 – un disco programmatico, intitolato appunto “Goodbye Cream”. L’avventura è terminata, l’altissima pressione dei media e dell’industria musicale (e la droga) hanno logorato le relazioni: e i tre si congedano, prendendo atto di una data di scadenza che era in qualche modo presente fin dall’inizio, frutto anche di quella caratteristica di Eric Clapton di cui parlavamo in apertura: quella di lasciare il tavolo da vincitore, per muoversi verso qualcosa di nuovo, meglio o peggio che sia.

In tre anni scarsi, questi ragazzi hanno cambiato per sempre il corso della musica rock. Non suoneranno più insieme per 35 anni, a parte un’esibizione pressoché obbligatoria, quando vengono ammessi nella R’n’r Hall of Fame, nel 1993. Poi, chissà perché, nel 2005 accettano di tenere una breve serie di concerti a Londra: quattro serate alla Royal Albert Hall, proprio dove si erano separati nel 1969, immortalate in un doppio album e in un Dvd, oltre che – ovviamente – su YouTube.

“Thanks for waiting”, “Grazie per averci aspettato”, dice a un certo punto Clapton sul palco, e bastano queste tre parole per descrivere l’emozione che aleggia, e non solo dalla parte del pubblico. Per i 36 anni passati. Per il loro status di mito assoluto. Per la loro carriera così breve eppure così ingombrante.

Come sono i Cream del 2005? Beh, dal punto di vista strettamente musicale potrebbero essere addirittura migliorati, visti i tanti anni di pratica. Certo, manca la furia rivoluzionaria di quando quei brani erano una sfida all’ordine costituito. Anche per questo va loro riconosciuto il grande merito di non essersi lasciati irretire da un tour, magari da un nuovo disco, insomma, dalla tentazione di trasformare il loro mito in una lussuosa pensione integrativa. Merito di Clapton, antico talento delle uscite di scena? Chissà.

E allora da questa esibizione del 2005 riascoltiamo il loro pezzo migliore, quello che non può mancare in nessuna antologia, quello che ci ha costretti a ricomprare Wheels Of Fire in tutti i formati possibili, dalla cassetta, al vinile, al Cd. È forse il brano-simbolo dei Cream e si chiama “White Room”.

Ascolto White Room da “Royal Albert Hall: London May 2-3-5-6 2005”

Era “White Room”, dei Cream, dal loro live del 2005. E su queste note si chiude la quarta puntata di “Dieci Secondi”. Io sono Luca Villani, vi ringrazio per averci seguiti e vi do appuntamento a giovedì prossimo, alla stessa ora, sempre su Radio Popolare, quando ci sposteremo nell’America degli anni ’90, un momento di eccezionale rinascita della musica rock, quasi una seconda età dell’oro, dopo quella di stasera, degli anni tra la fine dei 60 e l’inizio dei 70. Parleremo di un piccolo grande gruppo californiano chiamato Grant Lee Buffalo. Intanto, buona serata e buoni ascolti.