Dieci Secondi - Anno 1, puntata 3

Big Country: Steeltown

26 Marzo 2018

Dieci Secondi – Anno 1, puntata 3 – 2 febbraio 2017

(Ascolta qui sotto l’audio della puntata)

Per questa terza puntata torniamo indietro nel tempo, all’Inghilterra degli anni ’80. Se siete abbastanza vecchi, ve la ricorderete bene: la classifiche sono dominate dai gruppi che allora chiamavamo New Romantic: pettinature molto, molto elaborate – più ore dal parrucchiere che in sala prove, si diceva allora – camicie bianche con gli sbuffi, sintetizzatori e batterie elettroniche. Insomma, i Duran Duran e gli Spandau Ballet, per capirci.

L’atmosfera generale di questi brani e dei video che li accompagnano è tutta una festa, una danza, una sfilata di moda. Ma appena sotto a questo strato di edonismo, c’è qualcos’altro: c’è la Gran Bretagna vera, preoccupata, attraversata da una grandissima tensione sociale. C’è il lungo governo conservatore di Margaret Thatcher, che durerà dal ’79 al ’90; c’è la deindustrializzazione, ovvero la chiusura delle fabbriche e delle miniere, e i relativi scioperi. E c’è persino, dopo quarant’anni, una guerra: la guerra delle Falklands, su cui torneremo.

E poi c’è la musica. Anche quella che ci ricorda che l’Inghilterra non è esattamente quel party infinito con le top model che ci raccontano i Duran Duran: o, almeno, lo è per i Duran Duran ma non per la gente comune. In particolare c’è – alla metà di quegli anni 80 – un terzetto di gruppi che vengono dalla periferia dell’impero, dalla provincia celtica, potremmo dire, e che – con esiti diversi – racconteranno molto bene questi anni.

Sono gli U2, irlandesi. Gli Alarm, gallesi. E i protagonisti della nostra puntata: i Big Country, scozzesi. Che si presentano con un brano che si chiama “In a Big Country”. E che, all’epoca, ci fece saltare in piedi dalla sedia.

Ascolto In A Big Country.

Era “In A Big Country“, primo brano di The Crossing, album di esordio dei Big Country nel 1983.

E qui c’è già tutta la poetica del gruppo: un attacco quasi punk (il leader Stuart Adamson viene proprio da una formazione punk, gli Skids); una sezione ritmica formidabile – il bassista, Tony Butler, e soprattutto il batterista, Mark Brzezicki – nome più impronunciabile di quello del portiere della Roma – e poi queste chitarre suonate in modo da sembrare cornamuse, grazie a un lavoro di armonia fra i due chitarristi, esaltato dall’uso di un effetto per chitarra, un pitch transposer. L’album diventa di platino in Inghilterra e d’oro in America. Tutto funziona a meraviglia: quindi per i Big Country si apre ufficialmente il problema che interessa a noi: il problema del secondo album.

Siamo nel 1984. L’anno in cui gli U2, pubblicano “The Unforgettable Fire”, l’album di Pride. Ma anche l’anno in cui debuttano gli Alarm, un gruppo gallese che si fa notare con un album pieno di energia, di chitarre, e di una passione che mette insieme la rabbia acida e nichilista del punk e quella più speranzosa del folk: “Dove ti nascondevi, quando la tempesta è scoppiata“. Il brano che ascoltiamo per entrare in questo 1984 si intitola proprio così: “Where were you hiding when the storm broke”.

Ascolto  “Where were you hiding…”.

Erano gli Alarm, con il loro primo album, Declaration. Questa è “Dieci secondi”, su Radio Popolare, e noi parliamo del secondo album dei Big Country: che si chiama Steeltown ed esce nel 1984 con una copertina che sembra citare espressamente la grafica sovietica. In primo piano, una manona poderosa da lavoratore modello, da compagno Stakanov, che manovra un ingranaggio, mentre sullo sfondo si vedono fabbriche e ciminiere: potremmo dire che siamo in pieno realismo socialista inglese. Insomma, i Big Country non si nascondono e dalle Highlands scozzesi sono scesi nelle periferie industriali.

La Gran Bretagna, dicevamo, è scossa non solo dal Thatcherismo, ma anche dalla guerra delle Falkland: una guerra assurda, inventata dal generale Galtieri per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle vicende interne, iniziata forse pensando che non ci sarebbe stata alcuna reazione da parte degli inglesi. E invece sarà una guerra vera, anche se in miniatura. E gli stessi inglesi, che pure la vinceranno, a quasi 40 anni dalla seconda guerra mondiale, si troveranno a fare i conti con 248 soldati morti.

Steeltown

Il brano che ascoltiamo parla proprio di questo: sopra un suono marziale, ritmato da tamburi molto scozzesi, i testi per contrasto sono dolenti, rassegnati. “Se muoio in zona di combattimento, mettimi in una scatola e spediscimi a casa – Box me up and ship me home: i termini, volutamente, sono quelli della spedizione di una merce, di un pacco. / Se muoio e arrivo a casa, seppelliscimi sotto le rose”. Il brano, che mostra tutta la potenza musicale dei Big Country, si chiama “Where the rose is sown“.

Ascolto “Where the rose is sown”.

Era “Where the Rose is Sown“, dal secondo album dei Big Country. E questa è “10 Secondi” su Radio Popolare.

La guerra delle Falkland attraversa tutto questo album. Il brano che segue, infatti, è una sorta di risposta al precedente: se prima a parlare era il soldato inglese, qui è una ragazza, la sua ragazza. È il giorno del ritorno degli eroi. Ma mentre nelle altre case si festeggia, lei rimane seduta da sola, senza nemmeno un fornello acceso. La tragedia è compiuta: veniamo a sapere che lei aspetta un figlio, che lui forse è morto senza saperlo, che forse si sono lasciati male. “Io ero così giovane e orgogliosa, tu eri selvaggio e forte”, dice la canzone, lasciandoci più di un sospetto che lui sia addirittura partito per un litigio, per un’incomprensione, per uno scatto di orgoglio. La crisi economica, la guerra, la storia d’amore infelice, il dettaglio del fornello freddo si sommano in una scena degna di un film di Ken Loach. E il brano ci permette di apprezzare i Big Country anche in una dimensione più intimista e raccolta. Torna da me. Cioè: “Come Back To Me“.

Ascolto “Come Back To Me”. 

Era “Come Back To Me” da Steeltown, il secondo album degli scozzesi Big Country. Un secondo album che irrompe nella classifica inglese al primo posto e produce tre singoli; un album denso, epico, doloroso, una testimonianza efficace di un momento drammatico della storia britannica recente. Un bellissimo disco, in sintesi, se volete sapere come la penso. Ma che ha un difetto; o, meglio, che si espone alla solita critica, che avrete già immaginato: troppo simile al primo. Il successo del gruppo non è finito, anzi. Ma in qualche modo il meccanismo che sembrava perfetto, di questo gruppo così forte e riconoscibile, sembra già essersi incrinato.

Il terzo album, “The Seer”, è simile al precedente, anche se meno cupo: pieno di buoni brani, è l’album perfetto per gratificare gli appassionati ma non è sufficiente a tenere viva l’attenzione – spietata – dei media e delle case discografiche. “The Seer” vende bene nel Regno Unito, entra in classifica anche in America, e produce altri tre singoli. Ed è forse l’ultimo album della stagione che potremmo definire “classica” dei Big Country.

Di questo album ascoltiamo il brano omonimo, la title-track; con la partecipazione di una delle più importanti voci femminili di quegli anni anni, Kate Bush: la sua è un’interpretazione non virtuosistica, ma al contrario discreta, sommessa, quasi in filigrana, da scoprire, da cercare con attenzione. Il brano è una sorta di leggenda celtica e si intitola “La Veggente”, cioè – appunto – The Seer.

Ascolto “The Seer”.

Era The Seer, dal terzo album omonimo dei Big Country e questa è “Dieci Secondi” su Radio Popolare.

Da questo momento la carriera del gruppo scozzese sarà un lento scivolare verso i margini dell’industria discografica, con esibizioni dal vivo sempre vibranti e appassionate, e album sempre meno rilevanti. Ma non mancheranno i colpi di scena. Almeno due.

Il primo è triste: nel dicembre del 2001, Stuart Adamson, il cantante, chitarrista e principale compositore dei Big Country, viene trovato morto in un albergo di Honolulu, alle Hawaii. Adamson, che ultimamente viveva a Nashville e si era avvicinato alla musica country, era depresso, ed era letteralmente scomparso da qualche settimana: i membri del gruppo e la famiglia lo cercavano e avevano rivolto numerosi appelli a chiunque lo avesse visto. Il suo suicidio, solo in una camera d’albergo, ricorda la vicenda di un altro grande frontman di quegli anni, il cantante degli INXS Michael Hutchence.

Il secondo colpo di scena è invece positivo. Facciamo un lungo salto in avanti fino al 2013: quando non solo i Big Country si riformano, non solo tornano a produrre un album di brani inediti dopo molti anni, ma c’è – appunto – una sorpresa: nel ruolo di cantante c’è una vecchia conoscenza, proprio quel Mike Peters degli Alarm che abbiamo citato in apertura di trasmissione, vi ricordate?, all’interno del terzetto celtico: U2, Alarm, Big Country.

L’album, The Journey, non passerà alla storia. Però consente in qualche modo di chiudere il cerchio, di fare pace con una storia discontinua e drammatica: i brani sono piacevoli e ricordano ora gli Alarm stessi, ora gli album classici dei Big Country, anche se in tono minore. Quello che manca è proprio Stuart Adamson, il vero poeta del gruppo: manca la sua sensibilità, che gli permetteva di essere così romantico, così epico, di essere così eccessivo senza cadere nell’eccesso, nella retorica. E a lui sembra proprio dedicato uno dei brani dell’album. Dice: “Nessuno dovrebbe essere lasciato camminare solo attraverso la vita / nessuno dovrebbe stare in silenzio in un mondo di suoni”. Sembra proprio la descrizione a quelli che devono essere stati i suoi ultimi giorni di vita. Il brano si chiama “Hurt”, ferito.

Ascolto “Hurt”. 2’25”- 2’50” (sfumando sull’assolo di chitarra)

“10 secondi” su Radio Popolare. Era Hurt, dall’ultimo album dei Big Country.

E su queste note chiudiamo la terza puntata di “Dieci Secondi”. Io sono Luca Villani, vi ringrazio per averci seguiti e vi do appuntamento a giovedì prossimo, sempre su Radio Popolare. Vi anticipo che rimarremo in Inghilterra, ma faremo un bel salto indietro, alla fine degli anni ’60, per parlare dei Cream, il primo supergruppo della storia, e del loro secondo album. Non vi anticipo niente, ma ci divertiremo. Buona serata e buoni ascolti.