Dieci Secondi - Anno 2, puntata 2

Cat Stevens: Tea For The Tillerman

12 Maggio 2018

Si dice che i gatti abbiano sette vite. Qualcosa di vero ci deve essere. Perché il personaggio di cui parliamo oggi – che con i gatti ha indubbiamente a che fare – di vite musicali ne ha avute almeno tre o quattro. E non è detto che sia finita qui.

(Ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Parliamo di Cat Stevens. Breve riassunto per i più distratti, o più giovani: il ragazzo nasce a Londra nel 1948 con il nome di Steven Demetre Georgiou (il padre è greco). Nel 1967, cioè a 19 anni, pubblica non uno ma due dischi: sono dischi pop gradevoli, che oggi appaiono forse un po’ datati negli arrangiamenti. Il primo ha successo, il secondo meno. Ma intanto Cat si ammala di tubercolosi, arriva a un passo dalla morte, ed è costretto a una convalescenza di 18 mesi: una convalescenza non solo dalla malattia ma, forse, dallo shock di una notorietà (e della successiva disillusione) abbattutasi troppo presto sulle spalle magre di un adolescente. Quando ne riemerge è una persona diversa, che fa una musica diversa: più ricercata, più essenziale, molto più profonda. La sua seconda vita, quindi, si apre nel 1970 con quello che possiamo considerare il suo vero primo disco: Mona Bone Jackon.

Da cui ascoltiamo una bella ballata; è il classico litigio con una fidanzata: forse hai ragione tu, forse ho ragione io, comunque non ho più intenzione di discuterne. Maybe You’re Right.

Ascolto Maybe You’re Right.

Era Maybe you’re Right da quello che consideriamo il primo disco del vero Cat Stevens, Mona Bone Jackon. Questa è dieci secondi, su Radio Popolare.

In questo album sono già presenti tutti i temi preferiti del cantautore: l’amore finito male, la critica allo star-system, l’eterna insoddisfazione, la ricerca della spiritualità. Intanto il nuovo Cat Stevens sorprende tutti e l’album ha un discreto successo, grazie anche all’inclusione di alcuni brani nel delizioso film “Harold & Maude”.

Ma . Lo dimostra la raffica di dischi che sfornerà in brevissimo tempo per la gioia dei suoi nuovi fan e del fondatore della Island Records, Chris Blackwell: ben tre, fra il luglio del 70 e l’ottobre del 71. Il già citato Mona Bone Jackon e i suoi due capolavori, il primo dei quali è Tea For The Tillerman: per capirci, l’album che contiene il suo pezzo più famoso: Father and Son.

Cat Stevens - Tea For the Tillerman

Ascolto Father And Son. 

Era Father and Son, da Tea For The Tillerman, pubblicato a fine 1970, e questa è “Dieci Secondi”, su Radio Popolare.

Tea For The Tillerman è l’album della consacrazione di Cat Stevens, in cui – di nuovo – sono presenti tutte le specialità della casa: il dialogo fra vecchi e giovani, come nel brano appena ascoltato, la ricerca interiore, addirittura l’ecologia. E le immancabili delusioni amorose, nelle quali il giovane-vecchio Cat si diverte a giocare il ruolo dell’uomo saggio e sensibile, un po’ deluso dal comportamento frivolo delle sue fidanzate, che tuttavia non rinuncia a cercare fra le celebrità del momento, come la modella Patti D’Arbanville o la cantante Carly Simon. Alla bella Patti, in particolare, aveva dedicato un pezzo molto cupo nel precedente disco, intitolato proprio Lady D’Arbanville, in cui la descrive morente, mentre lei sta solo andando a New York per seguire la sua carriera di modella. Ora, non soddisfatto, torna sull’argomento: “Vai, vai pure, ma sappi che è un mondo difficile. Un mondo selvaggio”. Wild World.

Ascolto Wild World.

Dieci secondi su Radio Popolare, questa era Wild World, secondo singolo da Tea For The Tillerman.

L’album ha un grande successo. Rolling Stone lo inserirà al numero 206 fra i 500 migliori della storia del rock e – paradossalmente – Cat Stevens si ritrova nella condizione da cui era già fuggito una prima volta: essere una star della musica, con tutti i privilegi, ma anche gli effetti collaterali che una simile condizione comporta, specie su un’indole così sensibile. Che fare? Fermarsi qui?

No. Cat Stevens va avanti. Pubblica un altro capolavoro (il successivo Teaser and the Firecat, sempre nel ’71), poi altri album di grande successo, e poi via via altri, sempre meno commerciali, sempre più sperimentali, o apertamente stravaganti, come il concept album Numbers. Fino a Back To Earth, del 1978, pubblicato in mero ossequio agli impegni contrattuali, e tuttavia gradevole. Ascoltiamo il brano di apertura, uno sfogo amaro che a un primo ascolto sembra rivolto alla solita relazione finita male ma che, forse, prende di mira proprio l’industria discografica da cui Cat si è sempre sentito trattato male. “Io stavo morendo, ma per te era solo un’altra notte”. Just Another Night.

Ascolto Just Another Night.

Era Just Another Night, da quello che per il momento va considerato l’ultimo album di Cat Stevens.

E qui comincia la terza vita del gatto: pochi mesi prima, a fine 1977, Cat si è convertito all’Islam, ha assunto il nuovo nome di Yusuf Islam e – quel che più ci interessa – ha chiuso con la musica “profana”. Per circa 30 anni, manterrà la parola: chitarre vendute all’asta, niente canzoni, niente concerti, qualche album di musica religiosa , qualche polemica. Come quando viene coinvolto nella Fatwa contro Salman Rushdie (lui negherà sempre di avere giustificato qualsiasi atto violento) o come quando viene fatto scendere da un volo per gli Stati Uniti, ma questa volta per un caso di quasi omonimia con un vero ricercato per terrorismo. In mezzo, silenzio, preghiera, beneficienza, figli, nipoti.

Poi una nuova, clamorosa sorpresa: nel 2006 esce un nuovo album, intitolato An Other Cup, a nome di Yusuf ma musicalmente nello stile di Cat Stevens: insomma, un nuovo album pop. I temi sono spesso a fondo religioso. E – addirittura – anche un vecchio brano – “I think I see the light” (Mi pare di vedere la luce, da quando tu sei entrata nella mia vita), già presente su Mona Bone Jackon – qui viene riletto in una nuova chiave: se nel 1968 davamo per scontato che Cat si rivolgesse a un  nuovo amore, oggi il messaggio è inequivocabilmente spirituale.

Seguiranno altri due dischi, rispettivamente nel 2009 e nel 2014; e, finalmente, concerti, interviste, apparizioni pubbliche, per la gioia dei vecchi fan.

Il seguito è storia recente: a fine 2017 esce un nuovo album, intitolato “The Laughing Apple”. Qui il rapporto con il passato è ancora più esplicito: nelle illustrazioni (opera dello stesso cantante, come nei primi album), nelle note interne – in cui Teaser e il suo gatto vanno a trovare il vecchio Tillerman, recuperando così i personaggi dei suoi capolavori di inizio anni ’70 – ma anche nel repertorio: l’album infatti alterna brani nuovi a brani già pubblicati, o semplicemente abbozzati molti anni prima e mai dati alle stampe. Insomma, Cat Stevens è tornato, si potrebbe dire: nello spirito musicale, nei musicisti coinvolti (fra cui lo storico chitarrista acustico Alun Davies), nel produttore, quel Paul Samwell-Smith al suo fianco nei grandi album degli anni ’70. Cat è tornato. E Yusuf, che vigila sui temi trattati, si è fatto più solare, quasi spiritoso.

Come nella canzone che dà il titolo all’album, una buffa fiaba nella quale una mela sorride per non essere staccata dal ramo.  Un brano che mischia toni da antica ballata inglese (a tratti sembra di sentire “God Rest You Merry Gentlemen”, il canto natalizio del sedicesimo secolo), con strumenti etnici. E soprattutto con un ritornello davvero irresistibile, come non ne ascoltavamo da un bel po’.

Ascolto The Laughing Apple

Era The Laughing Apple, dal recentissimo album omonimo di Cat Stevens. Io sono Luca Villani e questa è “Dieci Secondi”.

Insomma. La sensazione è che Cat Stevens e Yusuf abbiano imparato a convivere. In fondo, forse, hanno sempre voluto le stesse cose: Cat Stevens cantava la sua ricerca spirituale ben prima di convertirsi all’Islam. Se ora ha trovato la pace nella fede e in mezzo ai numerosi nipoti, cui è dedicato un brano, e questo non gli impedisce di riprendere in mano la chitarra, tanto meglio per tutti. Di certo, quella del ragazzo cresciuto nel West End e divenuto una star adolescente, quasi morto di tubercolosi, rinato fisicamente, musicalmente e spiritualmente più volte, è una storia mai banale, nemmeno per un istante.

Si chiude qui, allora, questa seconda puntata della seconda stagione di Dieci Secondi. Io sono Luca Villani, vi ringrazio e vi dò appuntamento a sabato prossimo, sempre alle 17, sempre su Radio Popolare, con la preziosa regia di Niccolò Vecchia. Parleremo di un gruppo inglese che ha fatto del suo secondo album non solo un capolavoro, ma la pietra angolare di un intero genere: i Led Zeppelin. Buona serata.