Politica

Milano, il modello che non funziona

9 Febbraio 2019

Secondo la Treccani un modello è “… qualsiasi cosa fatta, o proposta, o assunta per servire come esemplare da riprodurre, da imitare, da tener presente per conformare ad esso altre cose”.

Quando si parla di “modello Milano” si intende secondo me indicare due cose: una di carattere più tecnico-politico, cioè la capacità di tenere insieme un fronte politico ampio di centro-sinistra che va dai riformisti ai socialisti; la seconda, più generale, cioè l’evidente successo di una città che continua a crescere nei numeri, a destare ammirazione, a produrre nuovi contenuti (architettonici, urbanistici, culturali, politici).

In entrambi i casi c’è molto di vero: a Milano Giuseppe Sala, inizialmente guardato con diffidenza a sinistra come “l’uomo di Expo e di Renzi”, è oggi molto amato e governa la città con grande autorevolezza; così come è vero che la città è ormai assurta al rango di eccellenza internazionale, come sancito simbolicamente dal premio della rivista Wallpaper.

skyline_citta_milano

Di questa Milano io mi sento – per usare il linguaggio finanziario – un piccolo azionista: per avere sostenuto attivamente Beppe Sala fin dalle primarie e non solo alle elezioni amministrative (correndo con lui nella gelida mattina del 31 gennaio 2016), riconoscendo in Sala il perfetto garante dell’equilibrio fra società ed economia; ma anche perché l’azienda in cui lavoro è passata dal 2011 a oggi (non tutti anni di crescita per l’economia italiana) da 10 a 25 persone; e soprattutto cerca di produrre non solo occupazione, reddito, utili (requisiti minimi per esistere), ma anche qualità, cultura, legami personali.

Luca_Villani_Beppe_Sala

 

 

 

Eppure in tutto questo c’è una nota falsa. Ed è la parola “modello” a farla suonare.

Quando il 4 marzo 2018 gli italiani sono andati a votare avevano un grande vantaggio: avevano di fronte due modelli, nitidi e antitetici. Il modello Milano, appunto, e il modello Roma. Da un lato una città che, con i suoi limiti, cresce, attrae turismo e investimenti, produce ricchezza e posti di lavoro (dal 2008 alla fine del 2017, il Pil di Milano è salito del 3,1%, mentre quello italiano è sceso del 4,5%) senza per questo rinunciare (anzi) alla qualità della vita.

Dall’altro lato, Roma, la città amministrata dai 5 Stelle, che – piaccia o no – assurge alle cronache quasi solo per l’immondizia, le buche nell’asfalto, gli autobus che vanno a fuoco, il clientelismo quasi ridicolo delle sue municipalizzate, gli scandali e le dimissioni nella giunta (l’ultima è di oggi), insomma – detto senza animosità – la rappresentazione plastica di che cosa succede quando il populismo va al governo.

Il 4 marzo 2018 gli Italiani non hanno avuto dubbi: con un sonoro 35 per cento hanno scelto plebiscitariamente il “modello Roma”. Il Pd – cui di fatto si deve il governo di Milano negli ultimi 7 anni – è sprofondato intorno al 17 per cento. È andata peggio ai partiti che si formano a sinistra del PD, caso mai qualcuno ne facesse una questione di “purezza”.

Ecco. E allora che “modello” è Milano? Ha ancora senso usare l’espressione “modello Milano”, sia nella sua accezione politicista, sia in quella generalista? Al momento tocca, con grave sconforto, prendere atto che un modello non replicabile non è un modello e abbandonare a se stessa la definizione tanto in voga. Se ne riparlerà – magari – fra qualche anno.

Per ora Milano è Milano, splendida e inimitabile – come la vita di Gabriele d’Annunzio – piovuta per caso in un Paese in cui la produzione industriale perde il 5,5 per cento nel giubilo generale dei sondaggi, che vedono la Lega (corresponsabile dello sfascio generale, sempre meno lombarda e meno che mai milanese e sempre più romana nei modi e nel posizionamento) accreditata di oltre il 30 per cento dei voti a fronte di un leggero calo del partito di Toninelli, uno che non vuole fare la Tav perché “non gli interessa andare a Lione”, a dimostrazione che – contro ogni evidenza – il modello populista-decrescitista stravince su quello riformista-solidale.

“L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali”, si intitolava un libro di Aldo Cazzullo del 2009. L’Italia de noantri. Altro che “modello Milano”.