Calcio

Perché ha ragione Sacchi (e il razzismo non c’entra)

19 Febbraio 2015

Tutti contro Arrigo Sacchi, dunque. Il quale ha fatto – sì – un’affermazione forte: “Nelle squadre giovanili ci sono troppi giocatori di colore”. Era reduce dal torneo di Viareggio, una delle principali manifestazioni di calcio giovanile in Italia, cui partecipano anche molte squadre europee. E probabilmente aveva negli occhi la fresca vittoria dell’Inter.

Contro Sacchi si è scatenato un coro di difensori delle minoranze più o meno sospetti, più o meno informati. Da Mino Raiola, il procuratore di calcio più famoso e forse più spregiudicato al mondo, all’ex attaccante inglese Gary Lineker, al presidente della Fifa, Josep Blatter, uno accusato di avere comprato i voti per la sua elezione e di numerose altre malefatte assortite. Fino a qualche osservatore nostrano: come il pacioso tuttologo e paladino delle cause già vinte in partenza, Massimo Gramellini, che al fattaccio ha addirittura dedicato una puntata della sua rubrichetta su La Stampa, “Il Buongiorno”; o il sottosegretario Graziano Delrio, che di solito mi pare una persona saggia ed equilibrata, ma che – a sorpresa – stavolta ha trovato il tempo per prendersela con Sacchi, ma non con Lotito, con Tavecchio che non lo caccia a calci e con Malagò che non caccia entrambi.

A una lettura superficiale, potrebbe sembrare che Arrigo Sacchi – per motivi astratti – non voglia che i giovani africani giochino nei campionati giovanili italiani. Se fosse così, sarebbe un razzista. Naturalmente non è neanche lontanamente così. Innanzitutto Sacchi – ricordiamolo – è stato coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili italiane e quindi è il massimo conoscitore dell’argomento: solo per questo la sua posizione andrebbe ascoltata e, al limite, approfondita, incalzata, sfidata ma non stigmatizzata senza appello. In Italia, invece, la competenza è una colpa o, nella migliore delle ipotesi, un dato irrilevante.

Sacchi, dicevamo, conosce l’argomento. E dice una cosa semplicissima e sostanzialmente condivisa: il calcio giovanile è dominato dalla ricerca di super-atleti prima che di bravi calciatori. E i ragazzi africani, in questa tendenza, sono la materia prima ideale. Non è colpa loro, naturalmente. Anzi, spesso sono le vittime di una sorta di “tratta”. Scrivete su Google “traffico giocatori africani giovani” e divertitevi (se avete tempo). C’è anche un film, sull’argomento. Lo sanno tutti i genitori che hanno figli che giocano a calcio in squadrette di periferia o di provincia legate ai grandi club e che si vedono passare davanti ragazzini alti, grossi, veloci, magari tecnicamente modesti (non necessariamente africani, ma anche). “La tecnica glie la insegnamo noi”, dicono sbrigativamente gli allenatori.

Sacchi, forse un po’ sommariamente, parla di questo. Non certo degli italiani “di seconda generazione”, di El Shaarawi, di Ogbonna o di Okaka. Parla di un fenomeno di massa che – secondo lui – impedisce la crescita di un movimento calcistico (anche giovanile, ma non solo) come piacerebbe a lui, più basato sulla tecnica e sulla tattica che sullo strapotere atletico, e con un carattere nazionale riconoscibile, uno “stile italiano”.

Sacchi lancia adesso il suo allarme, come dicevo all’inizio, perché ha appena visto all’opera la Primavera dell’Inter, una squadra da sempre imbottita (legittimamente, s’intende) di ragazzi africani. La quale Inter, infatti, reagisce subito. Spiega sul sito ufficiale dell’Inter il responsabile delle formazioni giovanili, Roberto Samaden: “Penso che l’intento del mister non fosse in linea con ciò che è emerso. Intendeva sicuramente altro. Il nostro lavoro è selezionare giocatori. Dei 22 giocatori convocati per la Viareggio Cup, 14 sono italiani e 8 di questi sono con noi dai Pulcini. Abbiamo 15 stranieri su 265 tesserati e, sinceramente, credo che i problemi del calcio giovanile siano altri”.

Capito? Tutti italiani. Strano che – secondo lo stesso sito ufficiale dell’Inter – nella rosa della stessa Primavera compaiano 13 giocatori nati all’estero (praticamente il totale dell’intero settore giovanile, secondo Samaden), sei dei quali in Africa. 

Sacchi, insomma, ha le sue idee sul calcio, ben note: il collettivo, le “conoscenze”, la tattica, la disciplina, la superiorità del gruppo sul singolo. E denuncia la scomparsa di un’identità nazionale che è lecito ammirare quando si parla del calcio – giovanile e no – di Spagna e Germania ma che evidentemente non è consentito invocare in Italia. Si può essere d’accordo o no (la totale irrilevanza in ambito internazionale delle nostre squadre di club e della Nazionale dovrebbe indurre a dargli almeno un po’ di ascolto); si sarà anche espresso male; e la giustificazione “Ho fatto giocare Rijkaard” in effetti fa sorridere. Ma basta un piccolissimo sforzo interpretativo per capire che il razzismo c’entra davvero poco: i moralisti a buon mercato possono riappisolarsi.

AGGIORNAMENTO DEL 19 FEBBRAIO: PEGGIO EL TACON DEL BUSO

Certo che la citazione mussoliniana di Ancelotti (l’ho sentita in diretta nel post Schalke-Real, mi sono venuti i brividi) non ci voleva. Non credo che Carletto conoscesse l’origine di quella frase (che in origine sarà pure di Giulio Cesare, ma…). Il problema – non nuovo – è che agli sportivi si chiede di esternare – in diretta – su troppe cose, anche extracalcistiche, delle quali ragionevolmente non sanno niente. Di solito stanno alla larga dai pasticci con grandi frasi di circostanza (“cerco di farmi trovare pronto dal mister”, “di mercato si occupano la società e il mio agente”, “i tifosi hanno il diritto di fischiare”), ma ogni tanto la fesseria scappa. Se poi l’ha detto apposta, non so più cosa pensare.