Primarie

Renzi e la scoperta del merito

29 Aprile 2017

Perché domani, per la terza volta (se non sbaglio i calcoli) mi presenterò alle primarie del Pd e voterò per Matteo Renzi? Per un motivo molto semplice, che è poi a mio avviso il motivo per cui tanti lo detestano.


Renzi

Come Carlo Azeglio Ciampi ha sdoganato a sinistra una parola fino a quel momento considerata impronunciabile come “patria“, così Renzi – forse con minore consapevolezza, chissà – ha fatto con un’altra paroletta di sei lettere: “merito“.

Con una differenza: se “patria” almeno a destra si poteva usare, “merito” è una parola che in Italia non ha casa. Il merito sta sulle palle proprio a tutti: alla sinistra, perché è l’esatto contrario di quel rovinoso sindacalismo egualitarista che porta a trattare tutti allo stesso modo, i bravi e gli assenteisti, che probabilmente fa il bene dei sindacalisti ma di certo non quello dei lavoratori. Basta vedere che cosa è successo nella scuola italiana quando si è accennato al fatto che i docenti potessero essere valutati da un superiore gerarchico, cosa che – con tutti i limiti e difetti – avviene in ogni campo professionale, persino nel pubblico impiego.

Ma il merito, al contrario della patria, non piace affatto neanche a destra. La destra italiana non è meritocratica (o meglio meritofila), bensì corporativa e statalista: la si trova più facilmente a fare il saluto romano in piazza Navona con i tassisti che ai convegni sulle liberalizzazioni. Lo stesso Silvio Berlusconi, che da politico avrebbe dovuto operare una “rivoluzione del merito” è di fatto uno strano tipo di imprenditore, cresciuto nelle peggiori pieghe della Prima Repubblica, assai più impegnato ad aggirare le regole o a farsene scrivere di nuove a suo favore, che a operare in un contesto regolato e competitivo. E coerentemente, da politico, non è ricordato per le battaglie per la concorrenza e la trasparenza.

Berlusconi1984

Mancava, in questo poco edificante scenario, il Movimento 5 Stelle, che della “demeritocrazia” ha fatto la sua ispirazione politica: per i suoi militanti la cultura, la competenza, la capacità non servono. L’ignoranza è un valore. Il “cittadino” comune può esercitare qualsiasi carica. L’analfabeta disquisisce di scienza su Facebook, e si stizzisce pure. A spiegare tutto è il complotto (tipicamente giudaico, per il tramite delle banche, il che crea una terrificante analogia con il Nazismo che però sembra non turbare la coscienza di nessuno), non lo studio, l’approfondimento, la discussione. Capirete bene che anche da questi paraggi la parola “merito” gode di pessima stampa.

D'AlemaE Renzi? Renzi crede nel merito, non come unico criterio ma certamente come uno dei principali. Renzi (l’ho sentito io, al teatro Dal Verme nella campagna delle prime primarie) dice che “bisogna essere grati all’imprenditore che ogni mattina alza la saracinesca in queste condizioni”. Eresia. Renzi è chiaramente egli stesso il prodotto del merito, visto che di certo nessuno, nel Partito Democratico, ha agevolato la sua ascesa: anzi, il risentimento puerile nei suoi confronti da parte degli ex-notabili, da D’Alema a Bersani, è la prova provata che la sua rottura del meccanismo della cooptazione (“ti nomineremo noi, quando e se lo riterremo noi, in base a criteri noti a noi”) con cui si faceva carriera nel partitone è il suo vero, imperdonabile peccato originale.

Certo, le alternative sono affascinanti: farsi raccomandare, non fare niente, lamentarsi, dare la colpa al complotto quando i fatti ci dimostrano clamorosamente ignoranti e incapaci. A me il merito sembra come la democrazia secondo Churchill: il peggior sistema, a parte tutti gli altri.