Un disco all'anno: 1970

“Layla”: amore, dolore e grandi chitarristi

28 Febbraio 2016

Pattie Boyd

Mi perdonerete se per la terza volta torno sul luogo del delitto, un luogo figurato che si chiama Eric Clapton: vi assicuro che nella vita ho ascoltato anche altro e ve lo dimostrerò. Ma il mio disco del 1970 è “Layla And Other Assorted Love Songs” (di seguito, come si usa scrivere nei contratti, “Layla”). Ci ho pensato, ho considerato le alternative, non ho dubbi. Non ditemi “ma quell’anno è uscito anche…”. Anzi, ditemelo: è la parte più bella del gioco. Ma sappiate che io non cambierò idea.

Prima di internet, i dischi si dividevano in due categorie: quelli con i testi stampati e quelli senza. “Layla”, ahimè, è senza: pertanto, le prime mille volte che l’ho ascoltato non sapevo esattamente che cosa dicessero le canzoni. Eppure lo si poteva intuire. Parlavano di un amore folle e disperato. Quello (lo avremmo scoperto dopo) di Eric per Pattie Boyd, la modella inglese moglie di uno dei suoi migliori amici, George Harrison. Tutto il disco, incluse le cover (che hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dell’album), parla di questo. Per me, adolescente romantico, perennemente innamorato e un po’ vittimista, si tratta di un appuntamento ineludibile: “Layla” e io siamo fatti per incontrarci e per rimanere insieme a vita.

Eric and George

Lo scopro grazie a un amico, forse il solito Gabriele, e appena posso lo compro. Pagandolo 3 sterline e 50 presso uno dei negozi della catena “Record & Tape Exchange”, luoghi magici dove trascorrevo buona parte delle mie giornate quando da Brighton con il mio amico Steno fuggivo verso Londra. La mia copia è infatti printed in England e contiene una piccola dedica in alto a destra (datata 1976) che a lungo, prima di far caso alla data, ho creduto parte del dipinto originale (cioè, pensandoci bene, qualcuno ha ricevuto questo disco in regalo e l’ha portato al negozio di dischi usati per venderlo? Mah).

LaylaEnglish

Ma veniamo al contenuto musicale. Perché non si può fare a meno di “Layla”? Perché “Layla” è il classico caso di un disco così perfetto e potente da rimanere un unicum anche nella discografia di uno come Clapton che ha inciso una trentina di album solisti. Insomma, un capolavoro assoluto. Il che avviene per tanti fattori, il primo dei quali, come ho detto, è che Clapton agisce sulla spinta di una condizione emotiva raramente sperimentata prima e dopo; paradossalmente firma un album con un nome di fantasia (ufficialmente il gruppo si chiama Derek And The Dominos, non si sa bene perché), ma si mette a nudo con un livello di verità e di forza che non rivedremo più, se non a sprazzi.

Layla And Other Assorted Love Songs (1970)L’album si apre con “I Looked Away”, una bella ballata originale, scritta da Clapton e Bobby Whitlock, che espone subito il tema: “And if it seemed a sin / To love another man’s woman, baby / I guess I’ll keep on sinning / Loving her, Lord, till my very last day”. Amore, disperazione, senso di colpa, morte. E la vera sorpresa è la voce di Clapton, che nelle sue esperienze musicali, tutte di altissimo livello (Yardbirds, Bluesbreakers, Cream, Blind Faith) non è mai stato il cantante principale: sofferta, spezzata, scivola abilmente nel falsetto. Viene quasi da chiedersi dove sia finita, negli anni successivi.

Ma il brano che incarna al meglio i temi dell’album è il secondo, “Bell Bottom Blues” (il riferimento è a un paio di pantaloni a zampa d’elefante, che Eric aveva comprato per Pattie a Miami), una blues ballad lenta con un testo completamente disarmato: “Do you want to see me crawl across the floor to you? / Do you want to hear me beg you to take me back? / I’d gladly do it because / I don’t want to fade away /Give me one more day, please”. Vuoi vedermi strisciare? Vuoi sentirmi supplicare? Lo faccio, volentieri (“gladly”), se serve.

Freddie KingAnche le cover sono parte integrante della storia. Come “Have you ever loved a woman”, un classico blues in dodici battute reso famoso da Freddy King (da sempre uno dei chitarristi preferiti di Clapton), in cui Eric canta con un falsetto struggente versi che sembrano scritti per l’occasione e che invece sono molto più antichi: “You just love that woman so much it’s a shame and a sin / But all the time you know she belongs to your very best friend”. O come “It’s Too Late”, un vecchio hit di Chuck Willis del 1956 la cui scelta appare non casuale: “It’s too late, she’s gone … I need your love babe, please don’t make me wait / Tell me it’s not too late”.

Ragion per cui quando arriviamo a “Layla” (inteso come brano), sulla quarta facciata, dopo avere ascoltato una poderosa cover di “Little Wing” di Jimi Hendrix (registrata pochi giorni prima della sua morte) sappiamo già tutto. “Layla” è uno di quei brani che uno conosce anche senza conoscere. «Hai presente “Layla?”», ho chiesto poco fa a un mio amico. «No». «È questa». «Ah, beh, certo». Un riff di chitarra inconfondibile e poi quella strofa che compare dove non ti aspetteresti, cioè un semitono più sotto, per poi risalire con il ritornello e per finire con la lunga coda strumentale, in pratica un altro brano. (Poi Clapton l’ha rifatta in versione carina sul multimilionario “Unplugged” del 1992, come è tipico del Clapton maturo anni ’80/’90: ma quella vera è questa, disperata).

Duane Allman“Layla” è un disco denso, pastoso, imperfetto, iper-emotivo, che sembra registrato di getto (in parte lo è, e comunque fu registrato in pochi giorni, nella prima settimana di settembre del 1970). È come un film su pellicola Super8: la grana è grossa, ma questo rende il risultato più caldo e affascinante. E poi c’è Duane Allman, aggiuntosi alle registrazioni all’ultimo momento, lusingato dalla possibilità dapprima di osservare Clapton al lavoro e poi di suonare con lui. La sua inconfondibile chitarra slide aggiunge ulteriore pasta sonora, profondità, emozione. Duane morirà poco dopo, nel 1971, in un incidente in moto. E anche questo, oltre alla complicata vicenda sentimentale, contribuirà a scaraventare Clapton verso anni davvero neri, fatti di isolamento, eroina, alcol.

Pattie Boyd Website

Ah. E Patty? Su di lei ci sarebbe da scrivere un libro, ma per fortuna lo ha fatto lei stessa. Patty, la donna per cui sono state scritte “Something”, “Layla” e “Wonderful Tonight”, resiste alle tostissime avances di Eric (immaginatevi la scena in cui lui tira fuori una cassetta, le fa sentire “Layla” e le dice: l’ho scritta per te) e rimane sposata con George Harrison. Salvo ripensarci qualche anno dopo (la vita con George è insopportabile, fra misticismo indiano, droghe e tradimenti seriali) e sposarsi proprio con Eric: rimarranno insieme dal 1979 al 1984, poi si lasceranno, più o meno per gli stessi motivi, misticismo escluso. È diventata una fotografa di successo (fotografando soprattutto i suoi due mariti e i loro celebri amici) e nel 2015 si è sposata. Questa volta non con una rockstar.

Pattie Boyd and Rod Weston Wedding