Economia

Perché le aziende scappano dall’Italia?

9 Febbraio 2014

Quindici anni fa lavoravo in una delle più importanti società di gestione del risparmio italiane. Naturalmente si parlava molto dell’imminente avvento dell’euro e in particolare si discuteva su come la globalizzazione, unita all’unione valutaria, avrebbe obbligato le aziende italiane a perseguire una maggiore efficienza per competere su scala mondiale senza poter più usare la scorciatoia della svalutazione competitiva.

Di quei giorni mi è tornata in mente una frase pronunciata, quasi di sfuggita, da un mio capo (oggi purtroppo scomparso) di grande intelligenza e visione. “Presto anche i regulators saranno messi in concorrenza fra di loro”. I regulators. Cioè le banche centrali, le autorità di controllo, i sistemi fiscali, in definitiva gli Stati. Il mio capo aveva capito che i capitali, ma anche le aziende produttive, sarebbero andati là dove i cosiddetti regulators – in competizione fra di loro – avrebbero creato le condizioni più propizie.

Fca

Oggi sappiamo quanto questo fosse vero. E quanto l’Italia si sia presentata inadeguata all’appuntamento con la concorrenza. Oggi – venendo alla cronaca – se Fiat ed Electrolux se ne vanno è perché l’offerta infrastrutturale italiana è nel suo complesso una delle peggiori del mondo. Lo hanno spiegato bene altri commentatori, da Oscar Giannino a Davide Serra, trattato dai media come un nazista mentre cercava di spiegare (certo Twitter non aiuta) che l’unico modo per far risparmiare le aziende senza penalizzare i lavoratori è abbassare le tasse e che per farlo occorre ridurre la spesa pubblica.

Serra

Ma qualora ancora tutto ciò non fosse chiaro, vi suggerisco di consultare un divertente (davvero: è sorprendentemente user-friendly) aggeggio che si chiama “Index of economic freedom”. È una classifica, realizzata dalla Heritage Foundation in collaborazione con il Wall Street Journal che misura la “libertà economica” attraverso dieci parametri raggruppati in quattro categorie. La libertà economica, cioè “the fundamental right of every human to control his or her own labor and property”.

Vi dico subito che per trovare l’Italia occorre calarsi penosamente, fino all’84esimo posto, negli inferi della sottocategoria “moderately free”. Cinque posizioni ancora verso il basso e saremmo l’Uganda, prima della categoria “mostly unfree”. Il Ruanda, per dire, sta sopra di noi un bel pezzo. L’Italia è sotto la media europea e molto sotto la media dei Paesi considerati “economicamente liberi”.

Freedom

Immagino una possibile obiezione: gli estensori dell’indice saranno dei liberisti destrorsi e quindi la loro idea di libertà economica non deve essere presa come oro colato. Sì e no. Sì, The Heritage Foundation è un think tank decisamente liberista (ma – se ci pensate – è molto probabile che rifletta le opinioni della maggioranza degli imprenditori e dei manager, quindi sarebbe il caso di tenerlo comunque in considerazione). No, nel senso che non vi si punta a fare l’elogio del turbo-capitalismo schiavista alla cinese: nei primi posti ci sono Paesi ultracivili, pieni di sindacati e di welfare state, come la Svizzera (4a) la Danimarca (10ma), il Regno Unito (14mo), la Germania (18ma), la Svezia (20ma). La Cina sta dove deve stare, al 137esimo posto. Insomma, il problema, mi spiace dirvelo, non sembra essere il criterio (che sarà pure opinabile in parte) ma l’Italia, un Paese nel quale è oggettivamente molto, molto difficile creare lavoro, che piaccia o no. Un Paese che, come ha scritto qualcuno, assomiglia a un albergo di infimo livello che per mantenere un elevato tasso di occupazione delle camere impedisce agli ospiti di uscire: voi ci andreste? Io no.

Fuor di metafora: se voi foste un imprenditore o un manager di una multinazionale globale (ma anche un piccolo imprenditore italiano, e questa è la notizia peggiore), dove andreste a mettere la vostra azienda? Dove le tasse sono alte o basse? Dove la corruzione c’è o non c’è? Dove la banda larga c’è o non c’è? Dove la burocrazia ti risponde in un giorno o in un anno? Sono queste, credo, le domande che dovremmo farci, invece di inveire vanamente contro le imprese “traditrici”. Le imprese non tradiscono nessuno, per definizione: le imprese hanno il mandato di fare utili (diversamente non esistono e quindi non creano posti di lavoro), naturalmente nel rispetto delle leggi.

Electrolux

Chi ci ha tradito, invece, si sa benissimo. Sono i governanti che ci hanno portato a cinque posti dai Paesi “mostly unfree” intanto che ci baloccavamo con la convinzione di essere al centro del mondo libero, senza tuttavia adottarne gran parte dei comportamenti virtuosi. Sono i sindacati, le associazioni di categoria, gli stessi media che invece di dare l’allarme hanno ripetuto stancamente le loro cronache grottesche e irrilevanti, senza accorgersi che stavamo perdendo contatto con il mondo civile; siamo noi che li abbiamo votati e sopportati.Parlamento

Se siamo arrivati a un passo dai Paesi non liberi economicamente, come minimo occorre cambiare, molto e in fretta. Occorre, per tornare alle parole illuminate di quel mio capo, smettere di frignare e accettare un concetto molto chiaro: com-pe-ti-zio-ne. Competizione non solo fra aziende (questo accade ogni giorno, nel mondo reale) ma anche fra sistemi-Paese. Difficile da capire, per il Paese dei monopoli e delle lobby, ma ineluttabile. Al lavoro, la lunga pausa cappuccino è finita per tutti.