Dieci Secondi - Anno 2, puntata 4

Del Fuegos: Boston, Mass.

17 Maggio 2018

Gli anni ’80 – lo abbiamo già detto – non sono sempre come uno se li aspetta. Nel senso che all’interno di un decennio dominato dalle tastiere, dai suoni campionati, da un’estetica tutta edonismo, feste e modelle, c’è chi – specie in America – ha tenuto alta la bandiera del rock più ruvido e genuino. Chitarra, basso, batteria e voce. E fra i tanti gruppi di quello che una volta chiamavamo roots rock, cioè rock delle radici, ce n’è uno che non ha conosciuto il grande successo, ma che ci ha lasciato un tesoretto di album così veri, così onesti, che potrebbero essere stati incisi oggi che il suono analogico è tornato di gran moda. Sono un quartetto di Boston e si chiamano – chissà perché – The Del Fuegos.

(ascolta l’audio della puntata qui sotto)

I Del Fuegos – come dei piccoli Creedence Clearwater Revival – sono guidati da una coppia di fratelli, Dan e Warren Zanes: si fanno le ossa suonando – giovanissimi – nei locali di Boston, poi di tutta la East Coast, dove si guadagnano un seguito fedele e appassionato. Finché dall’altra parte degli Stati Uniti, dalla California, arriva la chiamata che conta: è quella della Slash Records, una delle etichette indipendenti più quotate dell’epoca, che non solo li mette sotto contratto ma li affida a un giovane produttore che diventerà una star: Mitchell Froom. Esce così – nel 1984 – quel grumo di energia che è l’album The Longest Day. Da cui ascoltiamo I Should Be The One.

Ascolto I Should Be The One.

Proprio come i Creedence, californiani, hanno costruito un’estetica tutta basata sul Sud degli Stati Uniti, misteriosa e a tratti minacciosa (basti pensare a Proud Mary o a Bad Moon Rising), allo stesso modo i Del Fuegos, che sono della lontana e anglosassone Boston, non solo scelgono un nome ispanico, che fa pensare al Messico o almeno al Texas; ma costruiscono un suono intriso di soul e di rockabilly, che guarda molto più a Sud rispetto alla città d’origine.

Del Fuegos_Boston, Mass.

Il primo album del gruppo ottiene un successo di critica e di pubblico sufficiente perché la Slash Records decida di puntare ancora su di loro, sempre con la supervisione di Mitchell Froom, che è quasi un quinto membro della band. Per alcuni critici, il secondo album – intitolato proprio Boston, Massachussets – è fin troppo levigato. Può darsi. Ma se il gruppo ha perso un po’ della ruivdità delle origini, l’ha rimpiazzata con una qualità dei brani decisamente superiore. Se il primo disco era apprezzabile nel suo complesso, ora possiamo parlare di singoli brani. E il disco si apre così. Don’t Run Wild.

Ascolto Don’t Run Wild. (sfumare a 1’30”).

Don’t Run Wild stabilisce una prima volta; con questo brano il gruppo dei fratelli Zanes entra in classifica: 46 esimo posto nella categoria Us Mainstream Rock. Non sarà un successo planetario, ma è un buon inizio per un gruppo che suona una musica tutt’altro che commerciale, specie per quei tempi. Ancora meglio farà il secondo singolo tratto dallo stesso album, che arriverà a occupare l’87 esimo posto della Hot 100, la classifica più importante di Billboard. È una bella, bellissima ballata che si intitola “I Still Want You”.

Ascolto “I Still Want You”

Con il secondo album, Boston Massachusetts, I Del Fuegos sono all’apice della popolarità. Il disco è ben riuscito, ricco di belle canzoni. La loro freschezza, anche anagrafica, piace alla critica e ad alcune delle più grandi rockstar americane. Tom Petty li adora e li chiama ad aprire un suo tour. Persino il “boss”, Bruce Springsteen, una volta irrompe sul palco dove loro stanno suonando e si unisce a loro. E loro, totalmente impreparati, rimangono prima di tutto dei fan, non privi di senso dell’autoironia: “La volta che abbiamo fatto una jam con Bruce Springsteen nel backstage – racconta Dan Zanes – io e Warren abbiamo abbassato un po’ gli amplificatori: non volevamo che Bruce sentisse troppo bene come suonavamo”.

Intanto è ora di produrre il terzo album. E tutti gli astri sembrano allineati alla perfezione. I ragazzi sono bravi, genuini, onesti, non si sono montati la testa malgrado gli endorsement illustri. E così nel 1987 esce Stand Up: tutto appare più curato, dalla produzione, che questa volta include generosamente fiati e coriste, ai musicisti ospiti – fra i quali lo stesso Tom Petty – fino alla copertina, che per la prima volta non consiste in una foto e una scritta su fondo bianco ma sembra rivelare una maggiore attenzione anche alla grafica. Il pezzo forte dell’album – che finirà in classifica, anche se ai piani meno nobili – si chiama “Wear it like a cape”. E fa così.

Ascolto Wear It Like A Cape.

Stand Up è un bel disco di American Rock, con forti venature soul. Ma il benedetto “click” che porta un gruppo di provincia al grande successo, malgrado le buone intenzioni di tutti, non scatta. Segue quello che accade in questi casi: due membri, fra cui il fratellino Warren, lasciano il gruppo. E anche la casa discografica, la Slash, getta la spugna. Arriverà un quarto album, bello e sostanzialmente inutile, intitolato Smoking’ in The Fields, e poi la storia dei Del Fuegos sarà conclusa. “Gli anni ’80 erano finiti, e noi eravamo finiti”, dirà Dan Zanes. Ed è curioso, detto di un gruppo che degli anni ’80 aveva davvero poco e che – magari – avrebbe potuto continuare la sua corsa come altri gruppi “roots” negli anni ’90 e oltre.

Ma se vi siete affezionati ai ragazzi di Boston, aspettate a tirare fuori i fazzoletti. Perche quello che succede dopo è quasi più interessante del prima. Il fratello minore, Warren, si iscrive all’università, si laurea, prende due master e un PhD, e diventa vice-president for education della Rock’n’Roll Hall of Fame. Praticamente un serissimo professore di Rock. Ma non basta: un giorno riceve una mail dal suo idolo, Tom Petty, per il quale apriva i concerti quasi 30 anni prima, che gli chiede di scrivere la sua biografia: “Petty: The Biography” esce nel novembre 2015. E oggi che Tom Petty ci ha lasciati, che quel libro esista è ancora più importante.

Intanto Dan, il fratello maggiore, si sposa, si trasferisce a New York e inizia a suonare per divertimento con i genitori dei compagni di scuola della figlia Anna, proprio come facciamo noi comuni mortali. Con la sola differenza che da questo passatempo nasce una nuova – e fortunata – avventura. Dan Zanes inizia a produrre album che definisce “per famiglie”. Cioè album di brani semplici e divertenti, che possano far cantare un papà e far ballare un bambino, giocando con i generi preferiti, dal folk al blues al reggae, e invitando ospiti prestigiosi conosciuti grazie ai suoi anni da rocker. Ne volete un esempio? Eccovi “House Party Time”, una sorta di manifesto ideologico del nuovo corso di quello che Dan intende per family music.

Ascolto House Party Time.

Gli album di “Dan Zanes and Friends” – l’ultimo, del 2017, è dedicato al bluesman Leadbelly – sono ormai ben più numerosi di quelli dei Del Fuegos e gli sono valsi anche un Grammy nel 2007.

Insomma, ci sarebbe da iniziare un’altra storia. Ma il tempo per noi è finito. Un saluto da 10 secondi e da Luca Villani. Appuntamento sabato prossimo su Radio Popolare, sempre alle 17, sempre con la regia di Niccolò Vecchia, per parlare di un grande cantautore americano contemporaneo: Ray LaMontagne. Buona serata e buoni ascolti.