Politica

Bravissimo, Matteo. Sai chi mi ricordi?

27 Maggio 2014

Ok. Lo dico. Sapete qual è la prima cosa che mi è venuta in mente domenica notte, quando si è capito che quel 40 per cento non era l’effetto di un campione ancora sballato ma il dato vero? Walter Veltroni.

veltroni

Walter Veltroni e la sua “vocazione maggioritaria”: cioè l’idea di un Pd riformista e post-identitario che si candidasse a governare (anche) da solo, puntando a ottenere – per forza di cose – un numero di voti molto alto, ben maggiore della tradizionale area identitaria del 25 per cento circa. Tipo il 40, per capirci.

Lo stesso Walter Veltroni a cui nel 2008 si chiese di salvare la baracca (la “ditta”, per usare la malaugurata espressione del curatore fallimentare Bersani) e che fu messo da parte in malo modo perché prese solo il 33 per cento in un turno elettorale dominato da Berlusconi (o dai disastrosi errori della gestione precedente, quell’Unione i cui ministri manifestavano contro il governo, che qualcuno a sinistra ancora rimpiange), anche se quel 33 per cento era il miglior risultato storico del “partitone”, nelle sue varie incarnazioni.

Sempre meno sopporto le generalizzazioni, i “tutti uguali”, i “tutti ladri”, i “tutti a casa”, dietro i quali si nasconde (neanche tanto bene) l’obiettivo di equiparare tutti al livello più basso per assolvere il peggiore, non per fare giustizia. Così non ho mai tollerato che la pubblicistica mettesse sullo stesso piano D’Alema e Veltroni, nell’ennesima riedizione del Derby Infinito Italiano. D’Alema e Veltroni non sono uguali, nemmeno nella versione “uguali e contrari”. D’Alema – almeno ai miei occhi – ha difeso la conservazione, almeno dalla caduta del primo governo Prodi in avanti, mentre Veltroni – sempre in my humble opinion – ha promosso il cambiamento.

D'Alema

Rileggetevi il discorso del Lingotto del 2007. Inizia così: “Fare un’Italia nuova. È questa la ragione, la missione, il senso del Partito Democratico. Riunire l’Italia, farla sentire di nuovo una grande nazione, cosciente e orgogliosa di sé. Unire gli italiani, unire ciò che oggi viene contrapposto: Nord e Sud, giovani e anziani, operai e lavoratori autonomi. Ridare speranza ai nuovi italiani, ai ragazzi di questo Paese convinti, per la prima volta dal dopoguerra, che il futuro faccia paura, che il loro destino sia l’insicurezza sociale e personale”. Impressionante, eh? Sembra scritto ora. E invece ha sette anni, ma (soprattutto) risale a prima della crisi dei subprime, prima della spaventosa disoccupazione – specie giovanile – di oggi.

Ho sostenuto Matteo Renzi da subito proprio perché ha messo l’accento sul cambiamento: la politica degli ultimi vent’anni (solo venti?) ha fatto così male, è così responsabile del declino economico e culturale, che preferisco il rischio di un innocente rottamato a quello di un responsabile dello sfacelo ancora a piede libero (politicamente). E infatti Renzi stesso, che più di tutti è consapevole di questo obbligo di discontinuità a ogni costo, non si è certo sperticato a citare Veltroni, anche se sono abbastanza sicuro che domenica notte ci abbia pensato, alla “vocazione maggioritaria”.

VeltroniRenzi

E allora lo faccio io, che non rischio niente. Grazie Walter, per avere dato il calcio d’inizio al Pd. Anzi, sai che ti dico? I have a dream: non faresti il presidente della Repubblica?