Fatele (anche) voi, le primarie

1 Marzo 2019

E così ci risiamo. Domenica 3 marzo si torna a votare per le primarie del Partito Democratico.

Quest’anno, certo, il clima è molto diverso rispetto alle precedenti elezioni: sia da quelle “storiche”, cioè quelle che nel 2007 portarono alla scelta di Walter Veltroni come segretario del PD con il 75% dei voti (gli sfidanti – ve lo ricordavate? – erano Rosy Bindi ed Enrico Letta) e nel 2009 elessero Pierluigi Bersani con il 53%; sia – soprattutto – rispetto a quelle del periodo renziano: Matteo Renzi vinse infatti sia nel 2013 che ne 2017 con una maggioranza intorno al 70%, ma soprattutto con 2,8 milioni di votanti la prima volta e 1,8 la seconda. Oggi i candidati – interpellati sull’affluenza – fanno capire che sarebbero felici di vedere alle urne un milione di votanti.

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L’entusiasmo, insomma, è un po’ scemato. Manca (che piaccia o no) un protagonista come Renzi, capace a suo tempo e ancora oggi di scaldare i cuori di chi lo ascolta – e il successo del tour promozionale del suo libro “Un’altra strada” (per inciso un grande successo di vendite) lo dimostra. Ma è diverso anche il momento politico, dopo la sconfitta alle elezioni politiche del 4 marzo, e forse a causa del troppo tempo passato fra le ultime elezioni e queste primarie.

Tuttavia continuo a pensare che le primarie del PD siano un grande e prezioso momento di democrazia e che in questo senso debbano essere difese da tutti, anche da chi non parteciperà, anche da chi ha opinioni del tutto diverse da quelle del PD (che sono già abbastanza diverse fra loro, peraltro). Voltairianamente (o pseudo-voltairianamente, poiché il filosofo francese quella frase non l’ha mai pronunciata), tutti dovrebbero dire “non condivido le tue primarie, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa farle”.

Anzi: sarebbe interessante esportare il metodo e vedere anche altri partiti alle prese con il giudizio del loro popolo, in una prova totalmente aperta, contendibile, pubblica, commentabile, persino crudele, invece di sbrigare le cose al chiuso dei loro server. Non serve, vero, che vi ricordi le 189 preferenze con cui Luigi Di Maio entrò alla Camera dei Deputati, o i 30.936 (forse) voti con cui lo stesso divenne “capo politico” di un partito, peraltro controllato da un’azienda privata?

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Allora ben vengano le primarie del PD, unico partito democratico, scalabile e contendibile in Italia. Tanti o pochi, i voti espressi saranno comunque un importante multiplo di qualsiasi esperienza anche lontanamente paragonabile fatta in Italia. Ben venga il dibattito, anche acceso (e se il confronto su Sky ha avuto un difetto, è proprio quello di essersi acceso pochissimo, in una classica partita giocata più per non prendere gol che per farne – peccato).

Mi auguro che molte persone vadano a votare: non solo gli elettori del PD (che poi sono una categoria piuttosto indefinita, visto che il voto può variare, come si vede), ma anche i simpatizzanti e tutti coloro che potrebbero trovare in una delle candidature la risposta alla loro domanda politica.

Io voterò per Roberto Giachetti. Perché continuo a credere che l’Italia abbia ancora (se non di più) un bisogno disperato di riforme liberali, che mettano in moto lo straordinario talento del nostro Paese, con buona pace dei veri “poteri forti” (cioè quelli che hanno vinto il referendum costituzionale, il grande partito del NO a tutto): riforme del lavoro, della scuola, della magistratura, delle pensioni, della burocrazia pubblica, del fisco. Riforme che oggi sono attaccate da una visione nazional-statalista rovinosa, ma che non se la vedrebbero molto meglio nel magico mondo zingarettiano, dove Bersani e Landini incontrano i 5 Stelle “buoni”. Martina mi sembra un buon ragazzo che non vorrebbe scontentare mai nessuno (tantomeno se stesso). Giachetti è l’unico ad avere rivendicato quella stagione di riforme, che ci ha fatto uscire da una crisi drammatica senza dimenticarsi dei diritti civili. Riproviamoci.