Dieci Secondi - Anno 1, puntata 10

The Traveling Wilburys: Volume 3

18 Aprile 2018

Questa è la decima puntata di Dieci Secondi: e quindi anche quelli di voi più distratti o debolucci in matematica avranno capito che è l’ultima. Di certo, chiudiamo questa serie in bellezza, parlando del più grande supergruppo di tutti i tempi: che ha prodotto solo due album e li ha chiamati Volume 1 e Volume 3, quasi avesse voluto sottrarsi al severo giudizio di Dieci Secondi. Evidentemente non ce l’ha fatta.

(ascolta l’audio della puntata qui sotto)

 

Scherzi a parte. La storia inizia nella primavera del 1988. George Harrison ha da poco pubblicato “Cloud Nine“, un bel dischetto pieno di ospiti famosi: gente come Eric Clapton, Ringo Starr, Elton John. L’album sta andando molto bene, grazie soprattutto al primo singolo: una cover di un pezzo degli anni ’60, magistralmente arrangiata e interpretata da George e dal suo amico e produttore Jeff Lynne, un mago dei suoni e delle armonie vocali che è stato anche il leader della Electric Light Orchestra. Il brano è veramente contagioso. Si chiama “Got my mind set on you”.

Ascolto “ I got my mind set on you ”

Era “Got my mind set on you“, il primo singolo di “Cloud Nine” di George Harrison.

Ecco. Immaginatelo, George: è tornato alla ribalta con un album che sta andando benissimo. Ed è alla ricerca di un lato B per il nuovo singolo. Come si usava a quei tempi, decide di registrare un brano inedito: così ne parla a cena a Jeff Lynne e al più grande cantante di tutti i tempi, cioè Roy Orbison (lo cita anche Springsteen in “Thunder Road”, vi ricordate? “Roy Orbison singin’ for the lonely“, un verso che dice tutto), i quali si offrono di dargli una mano. Poi, non soddisfatti, decidono di telefonare a Bob Dylan, che ha uno studiolo di registrazione a Malibu che potrebbe venire utile: a volte, spiega Harrison in un documentario dedicato al progetto, “chiami Dylan e non te lo passano per degli anni”. Ma quella volta risponde. “Chi è?” “Sono George, sono qui con Jeff e Roy: ti andrebbe di fare una cosa insieme?”. “Perché no? Venite qui“. Non basta: una delle chitarre di George è a casa di Tom Petty, e così anche lui, il rocker della Florida, si trova arruolato.

I cinque, con l’aggiunta di Jim Keltner alla batteria, producono in poco tempo un brano. Ma quando George lo porta alla Warner Bros, più che un lato B sembra a tutti l’inizio di qualcosa di nuovo. Sarà in effetti il primo singolo di questo incredibile supergruppo: e si chiama “Handle me with care”, maneggiami con cura.

Ascolto “Handle me with care”.

Era “Handle me with care”, il primo brano dei Travelling Wilburys Volume One: ispirato, si dice, a una scritta su uno scatolone: “Maneggiare con cura“.

Ma a questo punto il disco non c’è ancora. C’è un brano, bellissimo, e un improbabile gruppo di cinque star che insieme hanno venduto diverse centinaia di milioni di dischi, ognuno con la sua intricatissima agenda di tour, eventi, registrazioni. Che si fa?

A sorpresa, sono tutti abbastanza liberi. Tranne Dylan, che deve partire per un tour alla fine di maggio. Siamo alla fine di aprile. I cinque si accordano per incontrarsi il 7 maggio: Bob ha garantito nove o dieci giorni di disponibilità, quindi il progetto è semplice. Ogni giorno si scrive un brano, ogni sera lo si registra. Punto.

E così succede. I Traveling Wilburys si mettono al lavoro usando come base la casa-studio di Dave Stewart, degli Eurythmics. Ognuno ha uno pseudonimo: di cognome, ovviamente, fanno tutti Wilburys: George è Nelson Wilbury, Dylan è Lucky, Roy Orbison è Lefty, e cosi via, sul modello delle famiglie musicali del folk americano, come la Carter Family.

Ma soprattutto, ognuno scrive, canta e si mette a disposizione del gruppo, si ritaglia qualche passaggio, senza mai strafare. Le riprese in studio mostrano alcune delle più capricciose rockstar del pianeta che scherzano come ragazzini in gita scolastica. E la cosa più divertente – e commovente – è la venerazione che tutti hanno per Roy Orbison, forse il meno noto al grande pubblico almeno alla fine degli anni ’80. “La più bella voce del mondo“, gli dicono. E Roy, che essendo del ’36 è il più vecchio di tutti, accetta i complimenti, sorride, si lascia coccolare. E canta. Come in Not Alone Anymore, un pezzone in stile anni ’50 costruito su misura per lui.

Ascolto “ Not Alone Anymore “.

Era “Not Alone Anymore”, dal primo album dei Traveling Wilburys, intitolato opportunamente Volume One.

Un gioiellino vintage, creato per esaltare la voce di Roy Orbison. Il quale, però, muore per un attacco di cuore poche settimane dopo la pubblicazione dell’album e non fa in tempo a vederne la diffusione e il successo di critica e di pubblico, sintetizzato in un Grammy Award e in un triplo disco di platino.

Verrebbe da pensare che senza Orbison i quattro amici decidano di fermarsi: dopotutto le loro agende scoppiano di impegni e sono anni in cui molti di loro danno vita ad album di grande importanza, scambiandosi collaborazioni. Nel 1989 esce un album proprio di Orbison (naturalmente postumo, visto che Roy è scomparso a dicembre dell’88), prodotto da Lynne e Petty. Nell’89 esce Full Moon Fever, di Petty, prodotto da Lynne, con Harrison e Orbison (sempre postumo). Nel 90 esce “Under the Red Sky” di Dylan, e Harrison è uno dei numerosi chitarristi ospiti, e qui ci fermiamo per brevità.

Traveling Wilburys Volume 3

E invece no. E invece i quattro amici superstiti tornano in studio e nel 1990 pubblicano Traveling Wilburys Volume 3. Il motivo di questa strana numerazione, per cui il secondo disco si chiama Volume 3, non è del tutto chiaro: gusto del nonsense? Un riferimento – polemico – al fatto che nel frattempo era uscito un bootleg intitolato Volume 2? Non si sa: a noi piace pensare che sia un gioco, in perfetto stile Wilburys. A proposito: sapete perché Wilburys? Perché ogni volta che – registrando Cloud Nine – Harrison e Lynne scoprivano un errorino, dicevano “Va bè, lo nasconderemo col missaggio”, “We’ll bury it in the mix“. E così, piano piano, i Wilburys sono diventati gli errori.

Torniamo a noi. Da Volume 3 ascoltiamo il secondo brano: Dylan canta la strofa, Harrison e Lynn il bridge e Tom Petty il ritornello. Si chiama Inside Out.

Ascolto “Inside Out “.

Era Inside Out, da Traveling Wilburys Volume 3, che è però il secondo album del supergruppo ideato da George Harrison.

Questo secondo album, inutile girarci intorno, non è allo stesso livello del primo: mancano la spontaneità, la produzione un po’ più ruvida, manca Roy Orbison con la sua voce ma anche con il suo influsso positivo sugli altri quattro. O forse siamo noi che conosciamo già il gioco? Fatto sta che Volume 3 è un album divertente, piacevole, che – paradossalmente – cresce nel tempo e con gli ascolti perché è pieno di dettagli gustosi. Ma la magia del primo, imprevedibile disco non è riproducibile.

Fra i momenti migliori del disco c’è questo brano country veloce e divertente, pieno di chitarre, da vero gruppo vocale della profonda provincia americana, tipo “Fratello dove sei” e invece cantato a due voci da un inglese e uno scozzese, George Harrison e Jeff Lynne. Si chiama “Poor House”.

Ascolto “Poor House”.

Era Poor House, da Volume 3 dei Traveling Wilburys, e questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

Volume 3 avrà un buon successo, anche se inferiore a quello di Volume 1, e andrà presto fuori produzione. Ma se quello che avete ascoltato stasera vi è piaciuto, esiste un meritorio cofanetto del 2007 che raccoglie i due album e uno splendido Dvd.

I Traveling Wilburys, malgrado le voci, non si riformeranno mai più. La cosa più vicina all’originale è il concerto per i 30 anni di attività di Bob Dylan, tenutosi a New York nel 92: lì, a un certo punto, Dylan, Harrison e Petty – insieme ad altri – si incontrano sul palco per cantare “My Back Pages”, bellissima, che non vi facciamo ascoltare – purtroppo – per limiti di tempo.

Noi, infatti, abbiamo finito. Finito la puntata di questa sera, ma anche l’intera serie di “Dieci Secondi”, il programma dedicato a dieci – appunto – secondi album. Grazie a Niccolò Vecchia per la regia e la preziosa supervisione, grazie a Radio Popolare, grazie a chi ci ha seguiti: speriamo che le storie di Dieci Secondi vi siano piaciute, speriamo di avervi fatto passare qualche bella serata, ad ascoltare – o riascoltare – della buona musica. E speriamo di risentirci, prima o poi: nel frattempo, i podcast vi attendono sul sito e sulla app di Radio Popolare.

Da Luca Villani, come sempre, buon proseguimento di serata e buoni ascolti.