Dieci Secondi - Anno 2, puntata 6

Tom Petty: You’re Gonna Get It

27 Maggio 2018

Il protagonista di questa puntata, per la verità, lo abbiamo già incontrato. Era l’ultima puntata della scorsa stagione e avevamo deciso di chiudere in bellezza con i Traveling Wilburys, il più improbabile, divertente e commovente supergruppo della storia del rock: quello formato da Bob Dylan, George Harrison, Roy Orbison, Jeff Lynne e Tom Petty. Un gruppo che ha fatto due soli album e li ha chiamati Volume 1 e Volume 3: una provocazione irresistibile, per un programma dedicato agli album numero due!

(ascolta l’audio della puntata qui sotto)

Sì. Perché una delle chitarre di George Harrison si trovava a casa di Tom Petty: ed è così che il biondo rocker della Florida, ecco finalmente il protagonista della nostra puntata di oggi, si trova arruolato nel progetto. Accadeva nel 1988. Ma ora dobbiamo fare un salto indietro, al primo album di Tom Petty, intitolato semplicemente Tom Petty and the Heartbreakers. Siamo nel 1976. E, come abbiamo già visto con i Police, è in qualche modo inevitabile – per un musicista che debutta in questo momento – venire in qualche modo associati al movimento punk. In realtà, lo scopriremo strada facendo, Petty è più interessato a recuperare la tradizione che a demolirla. Si ispira ai Byrds, al rock’n’roll americano e ai primi Rolling Stones, quelli spigolosi e sferraglianti della British Invasion degli anni 60. Il risultato, comunque sia, ha un’energia, una purezza primitiva, che può piacere anche a un pubblico punk, unita a un grande senso melodico, un istinto pop che Tom non perderà mai. Tutto riunito alla perfezione nel pezzo che chiude l’album. “American Girl”.

Ascolto American Girl.

Era “American Girl”, il brano che chiude il primo disco di Tom Petty. Questa è Dieci Secondi, su Radio Popolare.

“È così doloroso quando qualcosa che è così vicino, e ancora fuori portata”. Eccolo, il sogno americano smontato in due righe. Ed eccolo il rock di Tom Petty, immediato, facile, contagioso, eppure mai scontato. Tom Petty and the Heartbreakers, inteso come album, passa praticamente inosservato negli Stati Uniti. Ma, a proposito di punk e di equivoci, ottiene un buon successo in Inghilterra, dove anche grazie a un tour al seguito di Nils Lofgren arriva nella Top 30. La casa discografica inizia a spingere il disco sulla spinta  delle vendite inglesi e la macchina si muove.

Tom Petty_Youre Gonna Get It

Forse a causa di questo rimpallo America-Inghilterra-America, il secondo album non arriva subito. “You’re gonna get it” esce infatti a maggio del 1978, un anno e mezzo dopo il debutto. Un anno e mezzo trascorso in gran parte sulla strada, suonando dal vivo. Ed è per questo che gli Heartbreakers, forse il più grande e fedele gruppo al servizio di un cantante americano insieme alla E-Street Band di Springsteen, sono più compatti che mai e – abbandonate le asprezze pseudo-punk degli esordi – iniziano a mettere a fuoco il loro suono: dominato dalla chitarra Rickenbacker di Mike Campbell e dall’organo Hammond di Benmont Tench. L’album parte circospetto, quasi dimesso. Poi svolta con una serie di canzoni in crescita: la prima della sequenza è Magnolia, la perfetta ballad americana.

Ascolto Magnolia. 

Era Magnolia, da “You’re Gonna Get It”, secondo album di Tom Petty e dei suoi Heartbreakers. Questa è “Dieci Secondi”, su Radio Popolare.

Da qui, dicevamo, parte un quartetto di canzoni che incendia questo album. Un album – lo diciamo subito – inserito dalla critica del tempo in quella categoria che qui a Dieci Secondi potremmo chiamare la categoria “Sì, ma”. Sì, bello, potente, ben suonato, pieno di belle canzoni. Ma, indovinate? Troppo simile al primo album, quasi fosse fatto con gli scarti. È una categoria che conosciamo bene: ne fanno parte molti secondi album, fra cui quelli – pressoché contemporanei – di Dire Straits e Police. E, come ormai sapete bene, a noi di Dieci Secondi gli album “Sì, ma” sono simpatici.

Lo sono per vari motivi. In primo luogo perché, riascoltandoli a distanza, le differenze fra primo e secondo album emergono con maggiore chiarezza. In secondo luogo perché il presunto difetto (la ripetitività) è spesso un pregio, cioè la coerenza stilistica. Anzi, la definizione di uno stile. E questo vale anche per questo secondo album: coerente al suo interno, coerente – anche se in evoluzione – rispetto al primo album. Insomma: il suono di Tom Petty è nato. Dicevamo di quel quartetto di brani killer. L’ultimo si chiama “Listen to Her Heart” – ascolta il suo cuore – e fa così.

Ascolto Listen To Her Heart.

Era Listen To Her Heart, dal secondo album Tom Petty and The Heartbreakers. E questa è 10 Secondi su Radio Popolare.

Gli accordi di chitarra di Mike Campbell chiudono questo pezzo che rappresenta uno dei momenti migliori dell’album. Un album che il pubblico americano accoglie bene, portandolo fino al 23esimo posto della classifica di vendita. Per il grande successo di pubblico e di critica bisognerà aspettare. Aspettare che si risolvano un po’ di dispute con la casa discografica. E che, nel 1980, esca il terzo album di Tom Petty, Damn The Torpedoes, un titolo che cita un episodio della guerra civile americana. “Damn the torpedoes, full speed ahead”, avrebbe detto l’ammiraglio Farragut a chi gli diceva che il porto era minato. Cioè pressappoco “Affanculo le mine, avanti tutta”. E così fa Tom. Avanti tutta. L’album si apre così. Refugee.

Ascolto Refugee.

Era Refugee, dal terzo album di Tom Petty and The Heartbreakers. Questa è 10 Secondi su Radio Popolare.

“Questo è l’album che stavamo tutti aspettando. Se fossimo tutti fan di Tom Petty, cosa che saremmo se ci fosse una giustizia nel mondo”. Così diceva la recensione su Rolling Stone, ed è difficile dire di più e di meglio su questo album. Un album non concettualmente diverso dal precedente: Tom Petty era già qui, nelle sue ballate rock, nelle sue storie di sognatori e di perdenti, di amori possibili e spesso impossibili. Solo, questa volta funziona tutto meglio: suonato meglio, prodotto meglio, composto meglio. Damn The Torpedoes è anche un successo commerciale: arriva al numero 2 della classifica americana. A impedirgli l’accesso al primo posto c’è un vero e proprio muro: The Wall, dei Pink Floyd.

La carriera di Tom Petty proseguirà a lungo, in un equilibrio perfetto fra successo commerciale e integrità artistica, fra pop e rock’n’roll, fra tradizione e sperimentazione. Venderà 80 milioni di album, con i suoi Heartbreakers o da solista, ognuno dei quali impreziosito da singoli indimenticabili, ma mai, in nessun momento della sua carriera, cederà sui suoi principi, sempre molto rigorosi nei confronti dell’industria discografica. La sua strada ha incrociato quella di numerosi colleghi che gli hanno sempre tributato stima e amicizia, dai giganti come Bob Dylan e George Harrison, ai semisconosciuti Del Fuegos di cui abbiamo parlato due puntate fa.

Tom Petty bass

Il basso di Tom Petty, esposto all’Hard Rock Cafe di Las Vegas.

Purtroppo, la lunga corsa di Tom Petty si è interrotta bruscamente il 2 ottobre 2017, pochi mesi fa, per un’overdose di farmaci, in gran parte antidolorifici usati per tenere a bada una serie di acciacchi dovuti anche ai tanti anni trascorsi in scena. Le autorità hanno dichiarato che l’overdose è stata involontaria, e noi speriamo che Tom non avesse deciso di andarsene. Come che sia, ci piace pensarlo mentre vola libero, come canta in uno dei suoi maggiori successi. Free Falling.

Ascolto Free Falling

Era Free Falling, il singolo tratto dall’album Full Moon River, del 1989, con cui nasce la lunga collaborazione fra Tom Petty e Jeff Lynne, produttore e coautore di molti suoi lavori nonché suo complice nei Traveling Wilburys. Un brano fatto da due soli accordi, ma il cui fascino rimane intatto anche dopo tanti ascolti, proprio grazie a quella voce inconfondibile.

E su queste note si chiude la sesta puntata di 10 secondi. Un saluto da Luca Villani e appuntamento sabato prossimo sempre su Radio Popolare, sempre con la regia di Niccolò Vecchia, sempre alle 17. Resteremo in America per parlare di quello che all’inizio era sembrato a tutti il miglior gruppo degli anni ’90: gli Spin Doctors.